Io abito proprio sotto il Passo Cereda....
Non ero ancora nato ma i racconti e le immagini che ho visto della mia valle mi mettono i brividi. Case spazzate via, rigagnoli trasformati in torrenti, torrenti trasformati in fiumi, scendava a valle di tutto...legna, terra, case....
Da me aveva fatto veramente un disastro tanto che il Primiero era rimasto isolato per alcuni giorno....
Quando sfoglio le immagini o guardo il video rabbrividisco....e s guardo fuori dalla finestra e vedo ciò che è stato fatto per prevenire, allora mi sento tranquillo....
La stessa cosa andrebbe fatta da tutte le parti...ma questo sfortunatamente non accade sempre...![]()
La legge di Meteo-Murphy:
"Se qualcosa può andar male lo farà!"
"Col Zimon el ha el capel, o che'l fa brut o che'l fa bel!"
"Le Dolomiti di valle mia,
sono poesia, sono poesia...."
Always looking at the sky-sport
Marco
grazie albedo.letto tutto d'un fiato
Complimenti ad Albedo per il lavoro svolto
Avevo nove anni e ricordo solo la tristezza e la drammaticità con le quali il telegiornale dava le notizie..
[URL="http://www.capracottameteo.it"]www.capracottameteo.it[/URL]
Grande Albedo !!!!
Splendido articolo !!!![]()
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Le stazioni: (tsc009) Rignano Sull'Arno capoluogo(area urbana quota 110-200 m slm) e tsc024 (area extra urbana 330m slm). Il sito meteo:**Rignano meteo_dati meteo on line**
Complimenti. Un lavoro stupendo.
Ora sto per uscire, poi voglio rileggerlo con calma insieme a mio figlio, è la migliore testimonianza possibile per fargli comprendere bene l'ampiezza e la drammaticità di quell'evento, di cui si parla tanto in questi giorni in coincidenza appunto con il quarantennale.
Giovanni
Avatar: la grande nevicata a Peio il 20 gennaio 2009
Grazie a tutti! Come avevo annunciato, inserisco anche l'ultima parte di quel dossier relativa all'alluvione del Brenta. E' stata curata da Alberto Gobbi col decisivo contributo del padre Rino, che è stato disponibile alla pubblicazione del suo diario di quei giorni del 1966.
E' anche un piccolo regalo per Alberto che, come molti di voi sanno, si è laureato nei giorni scorsi.![]()
Diario dell'alluvione del Brenta
di Alberto Gobbi
Rino Gobbi aveva 18 anni quando il Brenta
entrò a Campolongo: ecco il suo racconto
Il Brenta, che già aveva inondato la Valsugana, alle 21 di venerdì 4 novembre ruppe l'argine a circa 2 chilometri da Codevigo: una breccia che in breve era diventata lunga non meno di 200 metri. Il fiume, insieme al Piovego coperse di acqua limacciosa tutto il territorio che da Camin va, lungo la riva destra del Brenta, fino al mare.
Come riferiva in un suo articolo Don Antonio Bellamio, parroco di Campolongo Maggiore, l' acqua arrivò a Campolongo la sera del 5 novembre. La domenica 6 tutto il paese fu coperto da uno strato d'acqua alto fino a 3-4 metri. Vi rimase per circa tre giorni.
Ecco come Rino Gobbi visse e trascrisse sul suo diario l'esperienza dell'alluvione a Campolongo Maggiore.
"La luna splendeva e il cielo e le stelle guardavano Corte come mai l'avevano veduta. Era la notte del 4 novembre 1966. Mentre salivo la china che portava al ponte di Corte vedevo tutto ciò, e quell'aria argentea e tersa fece di quella notte la prima notte di terrore. Sentivo da lontano il fragore delle acque e, man mano che mi avvicinavo al fiume, questo scroscio rombava sempre più ai miei orecchi, fino ad impaurirmi.
L'acqua era alta, mi dissero, e più salivo più avevo terrore di vederla di fronte a me, in tutta la sua impetuosità da un momento all'altro. Infine la vidi: era là che viaggiava forte e splendeva sotto il chiarore della luna. Una folla la stava a guardare. Passava impetuosa, veloce, e col suo terrificante grido sembrava sfidare l'uomo, quasi libera dalla gabbia di terra che la cingeva.
La guardavo ed attonito non riuscivo a staccare lo sguardo: fantastico e raro era lo spettacolo e lugubre, vorrei dire, perché dei militi misero delle lanterne ai lati del ponte , che così sembrava una grande tomba. Restai là per circa mezz'ora, e quando vidi che la cosa non cambiava, tornai a casa; erano le una di quella notte.
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Questo avvenimento unito a quello della rottura dell'argine del Brenta a Conche mi stupiva e mi rallegrava allo stesso tempo perché forse sarebbe accaduto qualcosa di straordinario che non avevo mai visto. Infatti si parlava che per lo straripamento del Brenta forse si sarebbe avuta una alluvione qui da noi. Tutto ciò lo speravo; ma che in realtà ciò avvenisse non lo credetti vero.
Quel giorno, come al solito, andai al lavoro, e si parlò ancora del fatto quando verso le diciotto e trenta entrò in officina Mario Gobbi ad avvisare che presto avremmo avuto l'acqua , e che perciò urgeva mettere in salvo più cose possibili. Alla notizia del trafelato Mario un che di sorriso mi venne alle labbra: dunque la cosa era vera, l'acqua veniva e con l'acqua...i giorni di festa.
Vedevo che Iseo si adoperava per mettere su posti elevati gli arnesi, le macchine ed altri oggetti che l'acqua avrebbe danneggiato. Ero contento, bisognava dirlo, il mio istinto mi guidava alla contentezza ed io ci stavo volentieri a questo gioco, e già mi immaginavo la scena dell'acqua che saliva mentre io, in ozio, la guardavo.
Immaginai le strade allagate, la gente in piazza che si chiamava riferendosi la situazione; sarebbe stata una pacchia per me essere a casa a scrivere magari o al bar a giocare. Ma a lavorare non sarei potuto andare: c'era l'acqua! Di una sola cosa mi dispiacque e cioè l'indomani, che era domenica, e non avrei potuto mettermi il vestito nuovo. Ma questo disappunto non poteva colmare la gioia che mi avrebbe dato quei giorni di festa.
Quel sabato sera, finito di lavorare, andai con Gianni a Celeseo e dopo a Saonara, dove si vedeva avanzare l'acqua. Per le strade mute colone di bestie passavano fuggendo; gruppi di gente erano radunati per le vie o nelle piazze dei vari paesi. Tutto questo faceva prevedere che quella notte non si sarebbe dormito.
L'acqua la vidi a Saonara: avanzava per la strada, lenta ma inesorabile mentre veniva preceduta da quella nei fossi che correva più forte. Disperai di vederla a Campolongo per la notte tale era la sua lentezza; ma ciò non era affatto vero! Tornammo a casa ed i gruppi di gente erano diventati più numerosi e più grandi, mentre continuava l'esodo degli animali.
Era una scena quest'ultima che faceva presagire dolore: queste bestie, vacche, vitelli, muli, maiali ecc. fuggivano a piedi o su carri accompagnati dai loro padroni, stanche del loro sonno interrotto. Lente e mute, come del resto i loro padroni, avanzavano in una fuga furtiva, vorrei dire, attenta nello scansare i paesi già allagati e perciò prendevano piccole strade solitarie.
Giunto in piazza a Campolongo vidi che c'erano dei gruppetti di gente e tutti guardavano i passanti amici od estranei che transitavano. In bicicletta tornai in fretta a casa per cenare. Finito di cenare tornai ancora in piazza per aspettare l'evento assieme all'altra gente.
Là, al centro, non sapevo cosa fare nell'attendere l'acqua e mi misi a giocare a pallone con Graziano. Mi sarei vergognato di questa mia azione se fosse stato di festa o in altri momenti in cui il centro di "Main" era affollato, ma quel sabato non sapevo come passare il tempo e, dopo aver preso la palla che avevo nascosto nell'erba alcuni giorni prima, giocai.
Dei "portavoce" riferirono che l'acqua era già al municipio ed avanzava per le "Basse" e che presto sarebbe arrivata anche al centro. Furono queste le prime notizie che mutarono il mio stato d'animo; infatti, quando appresi che l'acqua era già per la via Basse sentii dolore al cuore per la famiglia.
D'istinto pensai che la mia casa fosse già allagata e che la notte sarebbe stata un'avventura per me. Fu per questo che, assieme a Graziano, di corsa in bicicletta, tornai a casa. Già la strada che portava dalla "casa vecchia" del nonno a Stocco era allagata, tanto che dovemmo deviare per il viottolo del casello dello zio Adolfo. Di corsa, adesso tenendo con una mano la bicicletta , tornammo a casa.
Entrai e vi trovai i familiari addormentati al piano superiore. Mia madre si svegliò e così pure mio padre. Erano le ventitre e trenta, ma non avevo voglia di andare a letto seppure avessi sonno, perciò decisi di andare ancor via, e così feci. Andai a chiamare Graziano e assieme andammo sul Brenta a vedere ancora una volta l'acqua; e poi nuovamente a Campolongo da Bepi Carraro.
Ricordo di aver fatto parecchie volte il tragitto che porta al municipio già allagato, e quando venni a sapere che anche la strada che porta dal capitello di Pierato al nonno era allagata, ebbi veramente paura e mi pentii di essere nuovamente partito da casa.
Col terrore addosso, per paura di essere diviso dai miei cari, andai a fare il giro della via Pietra e, siccome l'acqua che da Valenta portava al nonno non era tanto alta, riuscii a raggiungere la stazione. Ormai ce l'avevo fatta: la ferrovia non poteva di certo essere allagata e quel tratto che da questa porta a casa, anche se fosse stato già allagato, lo avrei superato a piedi.
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"Si aspettava l'acqua e l'acqua ora poteva venire..."
"Però, secondo il mio consiglio, si portò al piano superiore anche la lavatrice e il frigorifero, perché in piazza avevo sentito dire che l'acqua avrebbe raggiunto l'altezza di un metro e mezzo. Così si fece e fu questa la salvezza dei due elettrodomestici. Sopra il tavolo si mise al loro posto la stufa.
La camera dei genitori venne portata di sopra, come detto, ma non gli armadi; quello grande fu rialzato con tre pietre per gamba e quello piccolo fu posto sopra la culla, sempre sperando che l'acqua non raggiungesse un livello superiore ai dieci o venti centimetri.
Anche se sotto ogni stanza era libera da oggetti che si sarebbero danneggiati con l'acqua, fervevano lo stesso delle operazioni di trasporto le quali, pur non essendo importanti come le prime, conveniva però lo stesso farle, e perciò anche oggetti come l'accendigas, il rasoio elettrico, i saponi ecc. furono messi in salvo.
Erano circa le una e trenta di domenica quando l'acqua aveva già invaso il nostro viottolo. A questo punto bisogna dire che fu il momento culminante della storia, infatti mi sembrava che l'acqua si fosse fermata al cancello e, come una belva prima fissa immobile la preda e poi con un balzo l'azzanna, così fu per me.
Quando la vidi mi fece paura, mai avevo visto simile scena e, giunta nel cortile, la giudicai crudele e ladra perché era penetrata dentro casa mia per attaccarmi di sorpresa. La immaginai ancora come una epidemia che con le sue fauci un po' per volta tutto invade e tutto morde ed essa, l'acqua, era simile: era giunta per la strada, era penetrata in altre case ed ora toccava a noi, e ciò doveva essere fatale.
Quel timore che avevo però non veniva coperto dall'entusiasmo nel vedere l'acqua avanzare anche se gioivo nel vederla crescere sempre più. Ma allora non immaginai a qual punto dovesse alzarsi poi.
Contavo quanto tempo impiegava a crescere e ciò mi divertiva. Già era al livello dell'aia, poi del pavimento della casa e quando da qui cresceva ancora, il gioco per me si fece monotono e stremato dal sonno andai a letto addormentandomi. Erano le tre di domenica.
Mi svegliai alle sei e trenta, mi volsi attorno. Del chiarore fissava tra le fessure delle imposte. Vidi dei materassi e delle coperte sopra l'altro letto, vidi che in sala, sempre al secondo piano, delle sedie erano ammucchiate, e tutto il resto era silenzio.
Cominciai a ricordarmi dei fatti della notte e compresi di essere sveglio quando udii una voce perdersi nel silenzio di quel mattino. "Carlin?" chiamava. Era Olga che era stata sveglia coi miei genitori ed ora chiamava suo figlio che si trovava sulla ferrovia assieme ai "coreani".
Era un grido disperato d'una madre che invocava il figlio, ambedue vittime di una sciagura che forse li poteva dividere. Una voce di lontano rispose; poi udii delle altre voci provenire sempre da lontano e così quel silenzio, quella solitudine che prima c'era ora era interrotta. Si sentiva il vociare dei "coreani" sulla ferrovia e qualche breve parola nella sala attigua alla mia camera.
Dopo essermi vestito, mi presentai ai familiari in sala e qui mi apparve uno spettacolo pietoso: mia madre era seduta sul letto, gli occhi le tradivano il pianto di prima; mio padre con qualche parola cercava di cancellare quel silenzio che si faceva sempre più tragico.
Tutti mi videro ma nessuno mi salutò; domandai il perché di tanta angoscia, non pensando neppure lontanamente che l'acqua ne fosse la causa. Mi dissero di guardare fuori e poi continuarono a tacere, mesti nel loro pensare.
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Apersi la porta che dà sul pergolato e vidi che l'acqua mi era vicina, alta e ferma come fosse pronta a fare non so cosa. Sulla sua superficie c'erano tanti ceppi di legna che sembravano tanti occhi e mi facevano paura. Era sporca; guardai più lontano ed era la stessa scena: l'acqua aveva sommerso per metà le case della Corea. Era tutto un lago: mai scena più strana avevo visto.
Guardai sopra la ferrovia ed un gruppo di gente stava seduta, intenta a parlare ed a guardare e guardare ancora quell'acqua che li aveva divisi. Qualche ragazzo passeggiava sui sassi; i cani latravano, ma non erano di dolore quei latrati: per essi era festa, forse perché mai prima d'ora avevano potuto stare così vicini ai loro padroni, essere salvati dai loro padroni.
Chiusi la porta e la scena di prima, coi familiari così tristi, mi si presentò ancora. Sentivo ora dire che forse la casa crollava; solo allora vidi mia madre piangere e, balbettando qualcosa, additava a me, smarrito, dei mulinelli che affioravano vicino alle fondamenta della casa; anche gli altri familiari mi consigliarono di andare a vedere.
Riapersi la porta e sotto di me mi accorsi che una grande bolla d'aria tumultuava proprio in un angolo della fondamenta della casa. Non ebbi timore perché credetti che la casa non sarebbe caduta per una bolla così, e rientrai. Infatti la casa non crollò.
Dalle parole che si dissero in questa stanza capii che la notte, ad un certo momento, si sentì un gran colpo e fracasso di vetri infranti e oggetti che cadevano di schianto: un vero cataclisma. Fu questo che addolorò la mia famiglia e, a essere sinceri, ci sarebbe da aver avuto paura davvero se fosse capitato pure a me, in quel momento della notte oscura.
In seguito appresi che erano caduti due armadi con la rottura dello specchio di quello piccolo e le gambe di quello grande. Poi si levò anche la porta del sottoscala. Da questo fragore pensarono che fosse caduto un pezzo di casa; ma ciò non era vero.
Passò più di un'ora da quando mi alzai da letto e restai zitto con tutti gli altri e pensavo che in fondo in fondo sarebbe stato meglio se l'acqua non fosse venuta. Ora non avevo nessuna voglia di essere contento e un nodo alla gola sembrava ingrossarsi sempre più, fino al pianto; ma non piansi.
Non avevo paura, ma quelle donne così in ansia e lo stesso mio padre preoccupato per la sorte della sua casa mi facevano venire affanno. Queste scene così improvvise, vorrei dire, difficilmente verranno cancellate nel tempo dai nostri cuori, perché tragiche esse sono e testimoni d'un fatto che veramente di tragico ha.
Dopo circa un'ora venne Dino Gottardo a prenderci con la barca; ad uno o per due alla volta, tutti lasciammo la nostra casa, i miei genitori per ultimi. Misi il cappotto prima di partire e guardai le stanze: erano in disordine. Questa fuga era un'altra prova che testimoniava la realtà. Il "tragico" c'era.
Volevo portarmi via più roba possibile, ma tutto non ci stava; guardai per ultimo quel pacco di quaderni a me tanto cari e mi compiacqui di averli salvati. Erano diventati i miei amici ed ora li avrei abbandonati? Ma no, non potevo. Me ne portai via uno, una penna l'avevo già. Questo ricordo, pensavo, non poteva venire cancellato dal tempo.
Scavalcai la finestra e detti un'ultima occhiata alla casa e: "Addio", le dissi, "ma presto ti rivedrò, ne sono certo". Scesi sulla barca e giunsi sulla ferrovia, tra l'altra gente.
Era domenica ed era triste per me saperlo. Mi trovavo là a camminare sui sassi, ritornando sempre sui soliti passi, quando avrei potuto essere in piazza a divertirmi. La ferrovia era affollata di donne che, sedute per terra, mangiavano quel tozzo di pane secco portato la notte da casa. Era affollata anche di animali come i due maiali che erano pure loro sdraiati sui sassi, e grugnivano; c'era anche una stia con dei polli dentro.
Sopra i tetti di due case intanto si vedevano due gatti che miagolavano guardandosi attorno, mentre più in basso si sentivano i latrati dei cani. Ma più che il miagolio dei gatti ed il latrato dei cani sentivo provenire da sorgente lontana delle grida che dicevano: "Aiuto, moriamo tutti!". Mi volsi verso dove credetti provenisse la voce e vidi che le piante nascondevano la casa dei Biolo, perché erano loro che gridavano.
C'era silenzio, e questo spasmodico grido echeggiava lungo e monotono. Mi guardavo intorno e vedevo la gente che passava avanti e indietro e nessuno accorreva; provai disgusto, ma poi pensai: come accorrere? Dove sono le barche? E sì che distavano neanche mezzo chilometro, e si trovavano là isolati, soli, stremati dall'angoscia. Erano condannati là e nessuno poteva salvarli. Che stessero per annegare? Pensai, e mi venne quasi da piangere, provando l'angoscia che loro sopportavano.
Verso mezzogiorno andai a pranzare da Rampazzo. Per tutto il giorno ebbi un che di affanno e non ebbi fame, ero smarrito, andai, solo, al ponte di Bojon a piedi e subito ritornai. Al ponte di Bojon ci andai nuovamente verso le sedici e non sapevo il perché.
Quando andai al ponte per la seconda volta, incontrai, fra tutta la gente che c'era, Marisa, una compagna di lavoro di Silvana che mi disse di avvertire mia sorella di andare a casa sua per dormire. Poi lei stessa venne fino da Rampazzo, dove avevamo la nostra sede provvisoria.
Venimmo per niente perché la mia famiglia era partita per Bojon, all'asilo. Qui li incontrammo e si accettò la proposta di Marisa. Mentre Silvana andò con lei noi fummo ospiti del postino di Bojon, parenti coi Rampin di Campolongo e quindi, tramite la zia Cecilia, mezzi parenti anche nostri. A letto, nella casa dei nostri ospiti mi addormentai tra il rinnovarsi dei fatti della giornata.
Di tutti quei tristi eventi, alcuni sono da ricordare come nobili gesta di altre persona; vale ricordare la famiglia che ci ospitò e pure le suore dell'asilo col loro infaticabile lavoro. Poi Marisa: in lei vidi la spontaneità nel donarsi al prossimo.
Da lunedì sette novembre fino a giovedì dieci restammo ospiti del postino a Bojon. Venerdì e sabato invece si fece pulizia alla casa qui in Corea e quel che mi dispiacque, oltre ai mobili rotti, fu il vedere l'intera Enciclopedia dello Spazio sprofondata nel fango. Io assieme a mio padre facemmo richiesta alla casa editrice di donarcene un'altra. Ci risposero che dovevamo pagare almeno la metà del suo valore. La cosa era onesta, ma noi non avevamo allora neanche quei soldi".
Rino Gobbi da Campolongo Maggiore (VE)
Le immagini del disastro nel nord-est
Il 4 novembre 1966 le acque del Brenta in piena investono le stilate del ponte ligneo di Bassano del Grappa, danneggiandole gravemente (MBAB Arch. Fot.)
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L'attonita espressione di un anziano abitante di Mezzano mentre cerca di salvare le poche masserizie sopravvissute alla devastazione della propria abitazione (Flavio Faganello, archivio privato)
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Una drammatica veduta di Mezzano, presso Fiera di Primiero, investita da una colata di fango e detriti (Flavio Faganello, archivio privato)
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L'impressionante colata alluvionale del torrente Chieppena che, allargandosi a ventaglio, investì Villa Agnedo e la Valsugana, devastando insediamenti, colture, strade e ferrovia (Flavio Faganello, archivio privato)
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La ferrovia della Valsugana letteralmente troncata dalla violenza dell'alluvione del torrente Chieppena; si noti la dimensione dei massi trascinati sin nel fondovalle dalla furia delle acque (Flavio Faganello, archivio privato)
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NOTE E CREDITI.
Cap. 8 e 9: foto tratte dal libro "Il Brenta" a cura di Aldino Bondesan, Giovanni Caniato, Danilo Gasparini, Francesco Vallerani, Michele Zanetti, Cierre Edizioni, 2003
Un ringraziamento particolare a Rino Gobbi per averci fornito il suo racconto e le foto dell'alluvione del Brenta.
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Complimenti albedo, bel lavoro.
Che serva di lezione a noi e a quelli che verranno, nulla si puo' contro la natura; l'importante è amare e rispettare la nostra terra.![]()
Ciao Albedo. Hai per caso ceduto della documentazione al TG1? Da una settimana il telegiornale cerca immagini e racconti degli avvenimenti.
Grande![]()
Ciao Paolo![]()
approffitto per salutarti e darti il benvenuto, anche se avevi già scritto molto tempo fa![]()
un abbraccio alla famiglia
Sottoscrivo i complimenti ad Albedo( come sempre del resto) e mi permetto di "rubare" tutto l'articolo su Firenze, che sfortunatamente ho visssuto quasi in diretta.
Grazie Albedo![]()
aveva un maglione da comunista con le tarme che cantavano bandiera rossa!
se tu hai una mela e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela per uno.ma se tu hai un'idea, ed io ho un'idea,
e ce le scambiamo allora abbiamo entrambi due idee.(g.b.shaw)
Apro posito,ai riaprito laeroporto che son tutti incazzati come dei bepponi alla festa dell'unità? (Alby)
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