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Che beffa quel primo respiro gioioso
Amo l'aria della mia cittĂ*. Ogni mattina, uscendo di casa, la ritrovo con gioia, e non c'è volta che non mi sembri diversa: ora densa e immobile come se volesse offrirme un rifugio, ora incredibilmente tersa, leggera intrisa di luce. Poi rientro, apro il giornale e scopro che mi sono sbagliato, che anche oggi i miei sensi mi hanno ingannato. Nel colonnino delle previsioni, l'aria quell'aria di cui ho appena avvertito e intimamente festeggiato la novitĂ* è uguale a quella di ieri, di un anno fa, del secolo scorso, di domani. Accettabile e insieme scadente, scadente ma soprattutto pessima mentre il quarto aggettivo "buona" è lì ma è come se non ci fosse, come se facesse parte non del mondo delle possibilitĂ*, ma del limbo delle attrazioni. Mi chiedo, passando dal letterale al figurato, se non accada qualcosa di simile anche quando si cerca di capire "che aria tira", cosa, ci prepara il futuro. Per il fatto stesso di essere vivi, di credere nella vita, di abitare questa terra. Ma basta scorrere il giornale, ascoltare un notiziario, prendere atto degli eventi perchè l'orizzonte torni a chiudersi. Nessun altro augurio che questo, dunque, per l'anno che verrĂ*: non perdere la capacitĂ* di sentire, di immaginare, di illudersi, la forza di non arrenderci mai ad ogni cosa.
Ultima modifica di cesare francesco; 20/02/2006 alle 06:27
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