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  1. #1
    Vento fresco L'avatar di alnus
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    Predefinito Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Possiamo continuare qui la discussione sorta poco fa nella stanza dei modelli e quindi OT per quel luogo.
    Su Canazei 100 anni fa, è possibile che in direzione del passo Pordoi allora non ci fossero boschi.
    Ma le cartoline del buon Maurino, nella direzione opposta mostrano boschi, che dal colore si direbbero a prevalenza di peccio, come adesso.
    Le valli alpine in generale sono luoghi poco ventosi e questo è uno dei motivi della grande diffusione del peccio.
    Un altro motivo secondo me è la alta germinabilità del suo seme e la resistenza delle piantine al gelo, pur crescendo più velocemente del larice.
    Poi credo che secoli fa l'abete bianco fosse assai più presente e che sia più lento del peccio a riprendersi le radure di taglio.

    Naturalmente tutte queste considerazioni mi portano a pensare che, come ho scritto nell'altro TD, Vaia sia stata un'eccezione unica nella storia alpina, e che sia senz'altro dovuta al surplus di energia di origine antropica.
    Ultima modifica di alnus; 20/01/2023 alle 18:55

  2. #2
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Citazione Originariamente Scritto da alnus Visualizza Messaggio
    Possiamo continuare qui la discussione sorta poco fa nella stanza dei modelli e quindi OT per quel luogo.
    Su Canazei 100 anni fa, è possibile che in direzione del passo Pordoi allora non ci fossero boschi.
    Ma le cartoline del buon Maurino, nella direzione opposta mostrano boschi, che dal colore si direbbero a prevalenza di peccio, come adesso.
    Le valli alpine in generale sono luoghi poco ventosi e questo è uno dei motivi della grande diffusione del peccio.
    Un altro motivo secondo me è la alta germinabilità del suo seme e la resistenza delle piantine al gelo, pur crescendo più velocemente del larice.
    Poi credo che secoli fa l'abete bianco fosse assai più presente e che sia più lento del peccio a riprendersi le radure di taglio.

    Naturalmente tutte queste considerazioni mi portano a pensare che, come ho scritto nell'altro TD, Vaia sia stata un'eccezione unica nella storia alpina, e che sia senz'altro dovuta al surplus di energia di origine antropica.
    Citazione Originariamente Scritto da alnus Visualizza Messaggio
    Premetto che siamo OT ed esorto a continuare in Oltre la meteo, ma immagino che tu mi chieda dati a prova del fatto che una tempesta come Vaia sulle Dolomiti non ci sia mai stata prima.
    Non ne posso fornire, ma chiedo io a te prove che la gran parte delle peccete alpine siano frutto di piantagione.
    Io credo che il bosco tipico alpino con dominanza di peccio e larice ben mescolati sia semplicemente spontaneo da sempre.
    Come prova dovrei portarti gli appunti di selvicoltura applicata oppure il libro di Del Favero del 2004.

    Ma comunque, raffazzonando un po' quel che mi ricordo:
    - fino ai primi del '900 non c'era un bosco (inteso alla maniera moderna) sulle montagne, tutti pascoli (e qui salta ogni possibile confronto con i danni di Vaia); al massimo le faggete erano ben estese, ma il faggio è veramente la pianta più forte di tutti ad accaparrarsi il territorio;
    - anni '20 autarchia, piantumazione con scopiazzatura del modello tedesco, ossia abete rosso sulle montagne (sopravvive ancora bene sulle prealpi trevigiane, dove a 1400-1500 di quota vedi la linea fatta col righello tra pecceta artificiale e prato d'alta quota), insieme al pino nero sui calcari e, più giù, altri pini come lo strobio;
    - fine seconda guerra mondiale boschi distrutti, allora completamento del lavoro di ''nobilitazione'' dei boschi attraverso, nuovamente, conifere; abete rosso sempre in pole, come dici era facile da diffondere; piantare abete rosso era anche un'opportunità economica per le famiglie locali, che avendo campi e orti bombardati vedevano una fonte di reddito a lungo termine nelle piantagioni di conifere;
    - anni 50-70 feste degli alberi, e giù di nuovo abeti, larici e faggi rispettivamente piantati dai bambini a quote improponibili (300-700);
    - anni sempre 50-70 abbandono ''elegante'' dei pascoli, previa piantumazione a fini ''estetici'' (e forse anche un po' di reddito) di conifere.

    Ecco qui un esempio di lembi di pecceta piantati negli anni '20, belli scuri e quadrati, a 1300-1400 di quota e direttamente sopra l'ostrio-faggeta xerica, molto più rappresentativa della reale composizione del bosco a quella quota e in quell'area geografica (prealpi trevigiane).
    Poi in mezzo ci sono anche dei larici, piantati anche loro col righello appena sotto al prato d'alta quota.



    Questo per quanto riguarda le PRE-alpi, dove Vaia fece la maggior parte dei danni.

    Riguardo alle peccete ''plurisecolari'' (lo disse il TG2 Dossier, poi non importa se il turno medio al di qua del Brennero si aggira sui 90-120 anni) delle Alpi, penso appunto a quella di Paneveggio, ma siccome si parla di abeti ben anzianotti io non so quanto fossero alti nel 1966 perciò non posso fare confronti, come non se ne possono fare di realistici prendendo in considerazione una sola valle (è come farlo coi downburst).

    E prima del '66, considerando i tempi di ritorno di un evento del genere (poniamo di volare indietro alla fine del 1800, tanto per dire), si ritorna al punto 1, cioè all'assenza di peccete pure/a tappeto sulle Alpi - quantomeno fino al settore mesalpico incluso - perché c'erano più pascoli che altro.

    Parlare di prove magari è ardito, ma di sicuro sono tanti indizi.
    Indizi, invece, del fatto che Vaia non abbia precedenti ancora non ne ho e continuo a non capire come possano saltar fuori.
    Posso supporre a tutto spiano che Vaia sia stata la tempesta più forte di sempre, ma oltre alle prove mi mancherebbero anche, appunto, gli indizi.

    Dunque confrontare i danni del 2018 su boschi monospecifici ''intensivi'' che c'erano con i danni del '66 (o prima) su boschi monospecifici che invece NON c'erano (o non così, parlando soprattutto di statura delle piante) rimane per me una supposizione tanto verosimile quanto fantasiosa.
    Sarebbe come dire che io ho la febbre perché il mio termometro rileva 37.2° mentre tu non ce l'hai perché non hai il termometro a casa: faccio ''notizia'' io in qualità di malato, ma magari tu hai 38.3° e non lo sai.
    E' proprio una questione ''strumentale''.

    Le faggete, per contro, hanno subìto molti meno danni e le zone dove c'è abete bianco meno ancora, sono pezzi di foresta ben misti che sanno il fatto loro in termini di resistenza alle tempeste.
    Le peccete non solo sono esageratamente diffuse in lungo e in largo ma l'abete rosso ha le radici talmente superficiali che favorisce l'effetto domino sul resto delle piante, ben spinto anche dal fatto che, a quote basse, la chioma dell'abete rosso è ''a tendone'', quindi intercetta tutte le bave di vento (che quando sono forti vincono a occhi chiusi). Non è come, per esempio, a casa sua - vedi in pieno Cadore o a Cortina - dove le fronde di abete sono piatte, tagliando l'aria.

  3. #3
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    notte sereno Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Citazione Originariamente Scritto da alnus Visualizza Messaggio
    Possiamo continuare qui la discussione sorta poco fa nella stanza dei modelli e quindi OT per quel luogo.
    Su Canazei 100 anni fa, è possibile che in direzione del passo Pordoi allora non ci fossero boschi.
    Ma le cartoline del buon Maurino, nella direzione opposta mostrano boschi, che dal colore si direbbero a prevalenza di peccio, come adesso.
    Le valli alpine in generale sono luoghi poco ventosi e questo è uno dei motivi della grande diffusione del peccio.
    Un altro motivo secondo me è la alta germinabilità del suo seme e la resistenza delle piantine al gelo, pur crescendo più velocemente del larice.
    Poi credo che secoli fa l'abete bianco fosse assai più presente e che sia più lento del peccio a riprendersi le radure di taglio.

    Naturalmente tutte queste considerazioni mi portano a pensare che, come ho scritto nell'altro TD, Vaia sia stata un'eccezione unica nella storia alpina, e che sia senz'altro dovuta al surplus di energia di origine antropica.
    E come accennavo di là: esistono già 2 studi su quanto hai descritto.

    Il bostrico è il problema ora.

  4. #4
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Citazione Originariamente Scritto da DuffMc92 Visualizza Messaggio
    Come prova dovrei portarti gli appunti di selvicoltura applicata oppure il libro di Del Favero del 2004.

    Ma comunque, raffazzonando un po' quel che mi ricordo:
    - fino ai primi del '900 non c'era un bosco (inteso alla maniera moderna) sulle montagne, tutti pascoli (e qui salta ogni possibile confronto con i danni di Vaia); al massimo le faggete erano ben estese, ma il faggio è veramente la pianta più forte di tutti ad accaparrarsi il territorio;
    - anni '20 autarchia, piantumazione con scopiazzatura del modello tedesco, ossia abete rosso sulle montagne (sopravvive ancora bene sulle prealpi trevigiane, dove a 1400-1500 di quota vedi la linea fatta col righello tra pecceta artificiale e prato d'alta quota), insieme al pino nero sui calcari e, più giù, altri pini come lo strobio;
    - fine seconda guerra mondiale boschi distrutti, allora completamento del lavoro di ''nobilitazione'' dei boschi attraverso, nuovamente, conifere; abete rosso sempre in pole, come dici era facile da diffondere; piantare abete rosso era anche un'opportunità economica per le famiglie locali, che avendo campi e orti bombardati vedevano una fonte di reddito a lungo termine nelle piantagioni di conifere;
    - anni 50-70 feste degli alberi, e giù di nuovo abeti, larici e faggi rispettivamente piantati dai bambini a quote improponibili (300-700);
    - anni sempre 50-70 abbandono ''elegante'' dei pascoli, previa piantumazione a fini ''estetici'' (e forse anche un po' di reddito) di conifere.

    Ecco qui un esempio di lembi di pecceta piantati negli anni '20, belli scuri e quadrati, a 1300-1400 di quota e direttamente sopra l'ostrio-faggeta xerica, molto più rappresentativa della reale composizione del bosco a quella quota e in quell'area geografica (prealpi trevigiane).
    Poi in mezzo ci sono anche dei larici, piantati anche loro col righello appena sotto al prato d'alta quota.

    Immagine


    Questo per quanto riguarda le PRE-alpi, dove Vaia fece la maggior parte dei danni.

    Riguardo alle peccete ''plurisecolari'' (lo disse il TG2 Dossier, poi non importa se il turno medio al di qua del Brennero si aggira sui 90-120 anni) delle Alpi, penso appunto a quella di Paneveggio, ma siccome si parla di abeti ben anzianotti io non so quanto fossero alti nel 1966 perciò non posso fare confronti, come non se ne possono fare di realistici prendendo in considerazione una sola valle (è come farlo coi downburst).

    E prima del '66, considerando i tempi di ritorno di un evento del genere (poniamo di volare indietro alla fine del 1800, tanto per dire), si ritorna al punto 1, cioè all'assenza di peccete pure/a tappeto sulle Alpi - quantomeno fino al settore mesalpico incluso - perché c'erano più pascoli che altro.

    Parlare di prove magari è ardito, ma di sicuro sono tanti indizi.
    Indizi, invece, del fatto che Vaia non abbia precedenti ancora non ne ho e continuo a non capire come possano saltar fuori.
    Posso supporre a tutto spiano che Vaia sia stata la tempesta più forte di sempre, ma oltre alle prove mi mancherebbero anche, appunto, gli indizi.

    Dunque confrontare i danni del 2018 su boschi monospecifici ''intensivi'' che c'erano con i danni del '66 (o prima) su boschi monospecifici che invece NON c'erano (o non così, parlando soprattutto di statura delle piante) rimane per me una supposizione tanto verosimile quanto fantasiosa.
    Sarebbe come dire che io ho la febbre perché il mio termometro rileva 37.2° mentre tu non ce l'hai perché non hai il termometro a casa: faccio ''notizia'' io in qualità di malato, ma magari tu hai 38.3° e non lo sai.
    E' proprio una questione ''strumentale''.

    Le faggete, per contro, hanno subìto molti meno danni e le zone dove c'è abete bianco meno ancora, sono pezzi di foresta ben misti che sanno il fatto loro in termini di resistenza alle tempeste.
    Le peccete non solo sono esageratamente diffuse in lungo e in largo ma l'abete rosso ha le radici talmente superficiali che favorisce l'effetto domino sul resto delle piante, ben spinto anche dal fatto che, a quote basse, la chioma dell'abete rosso è ''a tendone'', quindi intercetta tutte le bave di vento (che quando sono forti vincono a occhi chiusi). Non è come, per esempio, a casa sua - vedi in pieno Cadore o a Cortina - dove le fronde di abete sono piatte, tagliando l'aria.
    Sul punto che Vaia potrebbe anche non essere stata la tempesta più forte di sempre non insisto.

    Invece sull'indigenato del peccio nelle Alpi osservo che nelle ultime righe scrivi che in Cadore e a Cortina esso è "a casa sua", quindi in sostanza mi dai ragione.


    A proposito, sono passato di nuovo da Cortina due settimane fa e bostrico ancora niente.
    Sono ripassato anche dal Livinallongo e devo correggermi: è devastato ma non è vero che non ci siano più alberi vivi (avevo esagerato); ho anche trovato un bel nucleo di abeti bianchi presso il bivio di Cernadoi.

  5. #5
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Citazione Originariamente Scritto da alnus Visualizza Messaggio
    Sul punto che Vaia potrebbe anche non essere stata la tempesta più forte di sempre non insisto.

    Invece sull'indigenato del peccio nelle Alpi osservo che nelle ultime righe scrivi che in Cadore e a Cortina esso è "a casa sua", quindi in sostanza mi dai ragione.


    A proposito, sono passato di nuovo da Cortina due settimane fa e bostrico ancora niente.
    Sono ripassato anche dal Livinallongo e devo correggermi: è devastato ma non è vero che non ci siano più alberi vivi (avevo esagerato); ho anche trovato un bel nucleo di abeti bianchi presso il bivio di Cernadoi.
    Cioè io ti starei dando ragione per aver affermato che l'acqua è bagnata?

    Qua nessuno mette in dubbio l'indigenato dell'abete rosso sulle Alpi e Prealpi

    Indigenato vuol dire tutto e niente, un tutto e niente che va dal formare boschi puri al trovare un esemplare ogni tot km quadri di bosco.

    Difatti qua si attesta la mancata spontaneità delle peccete laddove l'abete rosso esiste solo come specie sporadica, cioè sulle prealpi e in generale tutta la zona eso-mesalpica a quote inferiori a 1000-1200 m, dove si sono verificati (ma guarda un po'!) almeno l'80% dei danni di Vaia.
    Che strano.
    'Sti boschi di 50-70 anni con gli alberi tutti nati spontaneamente in fila perfetta e così freddolosi che sono scesi persino a 400 m di quota.

    Se non distingui indigenato (boschi del Cadore o di Cortina) e indigenato (1 peccio qua e là in mezzo all'ostrio-faggeta) il problema è tuo.

    Goditelo, non so che altro dirti

  6. #6
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Citazione Originariamente Scritto da DuffMc92 Visualizza Messaggio
    Cioè io ti starei dando ragione per aver affermato che l'acqua è bagnata?

    Qua nessuno mette in dubbio l'indigenato dell'abete rosso sulle Alpi e Prealpi

    Indigenato vuol dire tutto e niente, un tutto e niente che va dal formare boschi puri al trovare un esemplare ogni tot km quadri di bosco.

    Difatti qua si attesta la mancata spontaneità delle peccete laddove l'abete rosso esiste solo come specie sporadica, cioè sulle prealpi e in generale tutta la zona eso-mesalpica a quote inferiori a 1000-1200 m, dove si sono verificati (ma guarda un po'!) almeno l'80% dei danni di Vaia.
    Che strano.
    'Sti boschi di 50-70 anni con gli alberi tutti nati spontaneamente in fila perfetta e così freddolosi che sono scesi persino a 400 m di quota.

    Se non distingui indigenato (boschi del Cadore o di Cortina) e indigenato (1 peccio qua e là in mezzo all'ostrio-faggeta) il problema è tuo.

    Goditelo, non so che altro dirti
    Sul primo gassettato ti consiglio di andare a fare un giro in zona Vaia e ti renderai conto dell'inesattezza che hai scritto.

    Sul secondo, i pecci di zona Arsiero, nati da samare portate dal vento, dimostrano quanto freschi siano quei versanti esposti a bacìo e in una zona dove evidentemente in estate piove molto. Le samare di peccio, per come sono piccole e leggere, possono benissimo provenire da peccete del Cadore, che anche tu consideri spontanee, oppure da quella piantagione del versante Sud della catena prealpina veneta che tu hai mostrato e dove anch'io riconosco che i pecci naturalmente non ci sarebbero, oppure anche, come credo io, dai più vicini altipiani di Folgaria-Lavarone o Asiago, dove io li considero spontanei.

    Questo, e tanto altro, per me dimostra la vacuità delle categorie " esalpico" ed "endalpico". Il peccio è spontaneo in tutta la regione alpina, la sua maggiore o minore presenza dipende dall'esposizione dei versanti, dai microclimi locali, non dalla distanza dallo spartiacque principale alpino.
    Stessa cosa per le altre specie, altrimenti non si potrebbe trovare una faggeta pura a Sottoguda, proprio sotto la Marmolada!

  7. #7
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Citazione Originariamente Scritto da alnus Visualizza Messaggio
    Sul primo gassettato ti consiglio di andare a fare un giro in zona Vaia e ti renderai conto dell'inesattezza che hai scritto.

    Sul secondo, i pecci di zona Arsiero, nati da samare portate dal vento, dimostrano quanto freschi siano quei versanti esposti a bacìo e in una zona dove evidentemente in estate piove molto. Le samare di peccio, per come sono piccole e leggere, possono benissimo provenire da peccete del Cadore, che anche tu consideri spontanee, oppure da quella piantagione del versante Sud della catena prealpina veneta che tu hai mostrato e dove anch'io riconosco che i pecci naturalmente non ci sarebbero, oppure anche, come credo io, dai più vicini altipiani di Folgaria-Lavarone o Asiago, dove io li considero spontanei.

    Questo, e tanto altro, per me dimostra la vacuità delle categorie " esalpico" ed "endalpico". Il peccio è spontaneo in tutta la regione alpina, la sua maggiore o minore presenza dipende dall'esposizione dei versanti, dai microclimi locali, non dalla distanza dallo spartiacque principale alpino.
    Stessa cosa per le altre specie, altrimenti non si potrebbe trovare una faggeta pura a Sottoguda, proprio sotto la Marmolada!
    Dicendo ''zona Vaia'' praticamente parli della regione avanalpica, esalpica e mesalpica delle Alpi orientali, perciò dici poco

    A parte tutte le tue varie credenze, la cosa più comica è: ''... non dalla distanza dallo spartiacque principale alpino''.

    Quella roba lì secondo te non influisce sul clima?
    Ti ricordo che più ti avvicini da sud a quello spartiacque ti ritrovi:
    - rilievi sempre più alti (cioè più freddi);
    - fondovalle progressivamente più alti (cioè più freddi);
    - fondovalle contornati da rilievi progressivamente più alti (cioè, nuovamente, più freddi);
    - piovosità di poco decrescente, sempre meno influenzata dalla termoconvezione legata al mare, ai laghi o alla differenza termica pianura/rilievi ma più interessata da fenomeni di calore e una maggior frequenza di fenomeni strappati qua e là a momentanei abbassamenti del flusso atlantico sul confine nazionale.

    Ebbene, in tale distanza chilometrica si sublima una notevole distanza climatica che gli autori hanno individuato svariate volte, mi spiace se le trovi vacue.
    Io, pensa un po', trovo vacue tutte le opinioni personali con cui hai farcito questi post.

    E siccome ogni zona è caratterizzata da un proprio insieme di microclimi legato all'intersezione di tali fattori (altezza rilievi, quota fondovalle, distanza da pianura/mare e altri rilievi), ogni zona ha una propria specie o formazione climax che è praticolarmente competitiva: motivo per cui l'abete rosso non te lo trovi per i microclimi locali, bensì perché ci sono altre n specie che non glielo permettono (carpino nero, faggio, latifoglie nobili e compagnia).

    Di nuovo, c'è indigenato e indigenato, ma se non hai notato che in ciascuna zona c'è perlopiù una formazione che comanda rigorosamente sulle altre il problema è tuo.

    Dopo c'è sempre l'eccezione fuori zona (grazie tante, hai preso proprio la faggeta più in quota d'Europa), ma ti assicuro che se non c'è trippa per gatti a livello termopluviometrico puoi sparare tutte le samare che vuoi senza il minimo successo

  8. #8
    Vento fresco L'avatar di alnus
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Mi rivolgo a DuffMc92 senza citare per non appesantire.

    20230122_140904.jpg

    Per esempio in questa foto, scattata dalla Marzola, il dosso sottostante, che si trova ad Ovest del lago di Caldonazzo, si chiama Piani di Castagne ( m 800 - 1000).
    A me fa pensare che nell'ottocento fosse un castagneto, quello sì piantato, e che, non più coltivato, sia stato ripreso dalla vegetazione spontanea alpina, appunto in gran parte pecci e larici mescolati e anche un bel po' di faggi.
    Posso sbagliarmi, ma non ce li vedo i forestali a fare una piantagione così omogeneamente mischiata.
    Sul fatto che nell'ottocento ci fossero solo pascoli, penso che invece almeno nei versanti a bacìo, inadatti ad altri usi, il bosco ci sia sempre stato.
    Ultima modifica di alnus; 29/01/2023 alle 10:34

  9. #9
    Vento fresco L'avatar di alnus
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Per Heinrich, sì vero, adesso il peggio è il bostrico.
    Ho visto la scorsa estate il Livinallongo e lì ormai non ci sono più alberi vivi.
    Tutte le Dolomiti rischiano ciò ed è orribile.

  10. #10
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Citazione Originariamente Scritto da alnus Visualizza Messaggio
    Per Heinrich, sì vero, adesso il peggio è il bostrico.
    Ho visto la scorsa estate il Livinallongo e lì ormai non ci sono più alberi vivi.
    Tutte le Dolomiti rischiano ciò ed è orribile.
    Ignoranza mia, il bostrico sarebbe?

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