
Originariamente Scritto da
Thomyorke
Beh, se uno è particolarmente intelligente è anche piuttosto normale che possa avere difficoltà nel relazionarsi con le altre persone. Queste, infatti, sono generalmente molto meno intelligenti di lui e quindi anche meno interessanti, più prevedibili e soprattutto poco predisposte a comprendere eventuali problematiche che emergono nel contesto di prospettive originali sulla realtà. Spesso, non sempre, l'intelligenza si lega ad un aumento della sensibilità: è come se lo sguardo, con l'intelligenza, si affinasse fino a cogliere particolari inesplorati dai più, punti di contatto con il mondo rispetto ai quali la maggior parte delle persone rimane indifferente poichè manca appunto quella sensibilità grazie a cui poter interpretare il significato profondo di quei pixel che altrimenti rimarrebbero fenomenologicamente opachi. Questa sorta di "sensibilità dello sguardo sulla realtà" costituisce un problema nel momento in cui favorisce il dischiudersi di mondo che si costituisce come un angosciante spazio della possibilità. In tal senso, l'acume intellettuale è un ponte insicuro che permette di transitare dal terreno della contingenza (in cui si agisce in modo irriflesso sulla scorta di una routine che scandisce quotidianamente la nostra vita) a quello della possibilità, nel quale è chiaro come tutto ciò che accade, oltre ad essere temporalmente e spazialmente determinato, non è tenuto assieme da legami logici che possono essere individuati a priori. La coscienza di un mondo che rifiuta di adeguarsi ai canoni di una tranquilla autoidentità è una specie di malattia che consente al genio di compiere le più grandi opere d'arte (nel senso più generale del termine) ma che al contempo lo espone ai rischi di un sentimento di inquietudine che si manifesta come una sorta di sradicamento di se stesso da se stesso: la mancanza di stabilità alla lunga logora...
Non credo che per illustrare l'incompatibilità fra l'intelligenza logico-matematica ed intelligenza espressa in termini di capacità della gestione emotiva possa essere sufficiente l'esposizione di numerosi casi di fallimento delle relazioni interpersonali. Il punto è, parafrasando il grande (e geniale) scrittore austriaco Robert Musil, che per elevare spiritualmente una comunità di persone non si deve compiere l'errore di proporre ricette in base alle quali le risorse umane debbano semplicemente concentrarsi sulle cose dell'anima a discapito di quelle della ragione (come spesso si sente dire in ambito di critica della scienza come tecnicizzazione del mondo); piuttosto ci vuole più ragione nelle cose dell'anima.
Il pensiero, allora, va a Foucault, ai suoi lavori volti a tratteggiare una archeologia critica della società occidentale dalla quale emergono i contorni di una interessante storia della normalizzazione dell'uomo, nella quale la società e le istituzioni al potere hanno spesso messo al margine quelle persone che proponevano uno sguardo divergente e originale sul mondo.
Quel che pare a me è che generalmente le reti relazionali su cui si fonda la nostra evoluta società civile sono molto poco tolleranti rispetto a chi manifesta quel genere di sensibilità che spesso si accompagna alle persone che noi definiamo molto intelligenti.
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