Proprio così, purtroppo.
Alla fine credo (forse anche uno dei commenti lo riportava) che avvocati (delle donne) e giudici alla fine siano peggio ancora delle donne stesse.
Meglio cercare di risolvere le cose - dove si può - con accordi tra le parti, senza ricorrere ai giudici e sperando di trovare l'intelligenza al posto dell'egoismo.
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Ciao Giorgio, Grande Astigiano.
...più vai in alto, più il vento tira...(G. Trapattoni)
" Intra Tupino e l'acqua che discende del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d'alto monte pende........" Dante, Paradiso XI
- In avatar, il mio mondo : Omar, Sarah, il cantiere e .... la neve!
Stamattina sentivo una trasmissione su R24 (credo sia R24 Mattino "versione estate"). E l' argomento era il "femminicidio", derubricato a mera conseguenza degli attriti durante e post-divorzio/separazione (come se non vi fosse chi, uomo, uccida una donna in conseguenza di altre situazioni, ad esempio tentativi di stupro e/o rapina mal riusciti, vedi il recente caso della tabaccaia astigiana).
Sono letteralmente rimasto allibito del trend ormai a senso unico del pensiero ..... ormai manca solo che venga istituita per legge una commissione medica d' obbligo per il maschio che è impelagato in procedure di divorzio, e così il sogno Mengeliano, almeno in questo campo, sarà realizzato.
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La rapina e la tabaccaia sono situazioni diverse. Qui la distinzione è fra l'omicidio, ovvero soppressione di essere umano indipendentemente da razza, *****, età etc., e l'uccisione di una donna in quanto tale.
Ovvero tutti quei casi in cui viene messo in atto un comportamento lesivo che parte da una diversa - discriminatoria -considerazione della donna, dei suoi comportamenti, dei suoi diritti. Dal punto di vista ideologico la differenza è sostanziale, e quindi mi girano le xxxxx tutte le volte che i giornalisti usano a vanvera il termine.
Faccio un esempio classico presente nella passata letteratura giuridica: il delitto d'onore. Sino a pochi anni fa costituiva una specifica attenuante per il maschio che avesse ucciso la femmina ritenuta "indegna". Non valeva il contrario. Tutto si basava sul presupposto che la donna in sé dovesse tenere comportamenti specifici - a differenza del maschio - e che potesse essere pensabile una punizione per la loro trasgressione.
In questo caso, propriamente, hai "femminicidio". Le stesse corna, se le faceva l'uomo, erano una "scappatella", e la moglie sarebbe stata catalogata come assassina; Le corna della moglie invece - in quanto donna - erano sufficienti a "giustificare il comportamento maschile omicida.
Cosa resta oggi di tutto ciò?
Sicuramente i casi in cui lei tenta di togliersi da situazioni border-line, di esercitare il suo diritto a essere libera, e il compagno o ex-compagno lo impedisce e la perseguita sino a ucciderla (penso ad esempio al recente caso di Albino, in cui la colpevole di abbandono è stata sgozzata sulla pista ciclabile sotto gli occhi di tutti).
Non lo è invece il caso della rapina: probabilmente l'aggressore avrebbe agito alla stessa maniera se fosse stato un tabaccaio anziché una tabaccaia; ovvero, non l'ha colpita in ragione del suo *****, ma perché voleva i soldi.
Nel caso dello stupro, invece, già a monte, senza omicidio, c'è un comportamento discriminatorio: si impone un atto non voluto ma che la donna dovrebbe subire stando zitta (qui la cosa è più confusa, perché l'oggetto da rapinare coincide con l'essere donna... ); se la si fa pure fuori perché ha tentato di difendersi, è femminicidio, dato che ci si aspettava da lei che avrebbe subito passivamente in quanto donna.
Sembrano cavilli, ma, soprattutto ora che la giustizia torna ad avere a che fare con culture in cui la donna è un essere inferiore, e come tale viene trattata, vanno chiariti e ribaditi. E non banalizzati, estendendo il termine a qualsiasi atto violento a prescindere da moventi e contesto.
A rigore, potrebbero esserci altrettanti reati di -cidio legati ad altre categorie discriminate. Qualora se ne presentasse la casistica (es. storico: oggi parleremmo di ebreicidio per tutti i delitti nazisti, chiaramente volti a colpire la categoria in quanto tale... ma in quel caso si fa prima col collettivo genocidio, che è diverso da una generica "strage". La sostanza è questa, insomma).
Mah, questa cosa del femminicidio proprio non la capisco, se proprio è un omicidio a causa dell'appartenenza al ***** femminile, si dovrebbe ricadere nell'omicidio con aggravanti, creare un nuovo reato mi sembra proprio inutile ed inoltre discriminatorio, forse la frangia dura delle femministe ha voluto ottenere un riconoscimento per la parola "omicidio" usata ormai da tanti anni, ma allora avrebbero dovuto scegliere "donnicidio", altrimenti vale per qualsiasi specie vivente dotata di *****.
Se l'assassinio deve venir suddiviso per ceti o caste o *****, allora non andiamo molto bene... almeno questo è il mio pensiero.
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Infatti, c'è poi il rischio concreto di creare delle aree a più forte impatto emotivo a scapito di altre.
Io credo che l'omicidio resti tale come reato a prescindere di chi sia la vittima.
La legge prevede le aggravanti, anch'io non vedo la neseccità di creare nuovi tipi di reato.
Anche in questo settore, invece di semplificare le normative, andiamo ulteriormente a renderle complicate e di difficile applicazione. E forse non a caso.
Ciao Giorgio, Grande Astigiano.
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Se le femminste si chiamano femministe e non donniste, allora è anche femminicidio e non donnicidio.
Comunque, non ha importanza il dettaglio, chiamiamolo come si vuole.
La lingua è un prodotto culturale e riflette le esigenze - storiche - dei parlanti e i problemi a cui di volta in volta si vuole/deve dare voce.
E' un modo per evidenziarli, per far sentire che quell'accezione non è solo "una sfumatura da nulla", ma valica un limite, è un comportamento che scavalca un confine condiviso e sale a un gradino diverso, superiore.
La lingua è per sua natura continuamente implementabile e aperta ad accogliere nuovi termini, solo apparentemente sinonimi, perché è uno strumento di comunicazione, e deve sempre poter/saper comunicare le nuove impreviste situazioni che si presentano.
La discriminazione è a monte, non nella lingua, ma nel pensiero di chi la utilizza.
Cieco, bidello, negro etc. in sé sono gruppi di suoni; siamo noi che a un certo punto abbiamo associato a essi significati offensivi o discriminatori, e abbiamo quindi sentito la necessità di coniare altri termini "politically correct".
A monte c'è la nostra concreta, reale discriminazione verso certe categorie, che si trasmette sul termine, rendendolo "discriminante".
Così, "femminicidio" appare discriminatorio perché evidenzia una realtà che di per sè è discriminatoria.
Tacerla, non evidenziarla, significa in qualche modo accondiscendere, non dare rilievo a ciò, relegarlo nel magazzino della infinita casistica.
Un termine specifico significa invece gridare a gran voce che "quella cosa" non va, è percepita come fortemente aberrante, è rigettata dalla nostra mentalità.
Le cronache ormai registrano casi di ragazze segregate in casa perché pretendevano di uscire la sera, ragazze pestate dal padre perché avevano un moroso non gradito, ragazze in qualche caso uccise dal padre o dai fratelli perché avevano osato disobbedire etc.
Tutto questo, che la nostra cultura ha rigettato da secoli, lo percepiamo come aberrante, e quindi il fatto che venga perpetrato perché sono donne non è una "circostanza aggravante" (non sono "casualmente" donne) bensì il movente base che genera l'atto e che gli dà quel senso di totale aberrazione che percepiamo, e che ce lo fa rigettare.
Questo è il messaggio forte che si vuole dare coniando un nuovo termine.
Percepiamo come aberrante uccidere una donna (un nero, un gay etc.) solo per il fatto che sia donna (nero, gay etc.) che non sta "al suo posto", silente e nell'ombra.
E ben venga in tutti i campi se - purtroppo - ce ne dovesse essere bisogno.
Perché la lingua è anche un oggetto politico, cioè inerente alla polis (la comunità dei cittadini) e strumentale alle sue esigenze.
Sinceramente, non vedo il problema di definire le cose con precisione.
La nostra lingua prevede già alcune parole che specificano quale sia la natura del rapporto tra l’uccisore e la vittima di un omicidio (fratricidio, sororicidio, matricidio, parricidio, uxoricidio) o caratteristiche particolari della vittima (il già citato infanticidio, feticidio termine del diritto penale).
Intervengo anch'io sull'argomento pur non essendo ne sposato ( e direi visti i tempi che corrono che mi ritengo fortunato) ne fidanzato.
Prima di tutto voglio esprimere tutta la mia solidarietà a Giorgio, queste sono sempre situazioni molto spiacevoli e che scombussolano l'esistenza di una persona... la discriminazione che dobbiamo subire noi uomini è la ciliegina sulla torta..
Ho letto il commento dell'utente Francy82 e lo trovo molto interessante, tra i quali la poca serietà con la quale ormai si affrontano certe decisioni ( considerando poi che siamo in un epoca in cui si puo' scegliere, nessuno è obbligato a sposarsi e a convivere o ad avere figli). Le cause spesso sono di entrambi ma, non me la vogliano le poche utentesse del forum, le donne spesso sono la causa principale, sono sempre più complicate e "capricciose" (sicuramente anche per il cambiamento della società e dei ruoli)...mi vien da pensare ad un amica (mia coetanea) che si è separata da poco, ormai l'ennesima di una lunga serie di separazioni/divorzi di amici e conoscenti...2 anni di matrimonio e un figlioletto di 7 mesi... lei impiegata part-time lui artigiano...tra le motivazioni (futili) c'erano anche quelle che lui no aiutava nelle faccende di casa, che alla sera pretendeva la cena pronta, e così via... capisco che ci si debba in qualche modo aiutare ma... la donna non puo' pretendere che il marito arrivi a casa alla sera e debba farsi anche tutte le faccende domestiche in particolare se lei è impiegata part-time e lui è fa un lavoro manuale per 10 ore al giorno... oltre al fatto che si divorzia per delle cagate senza neanche cercar di risolvere le cose (ormai se una cosa è rotta si butta, non si cerca di ripararla) direi che c'è anche una confusione per quanto riguarda i ruoli della donna e dell'uomo in un rapporto di convivenza che solo una generazione fa non c'era ( ad esempio io non trovo così anormale che la donna si occupi prevalentemente delle faccende domestiche... e per prevalentemente non intendo che l'uomo non debba aiutare ma ad esempio non si puo' pretendere che si invertano completamente i ruoli o che il marito falegname arrivi a casa alla sera e si metta a stirare e a fare il bucato..). Oltretutto sposarsi e fare un figlio (ma anche convivere e fare un figlio) non è una scelta da fare a cuor leggero perchè è un "investimento" che si fa (anzi si dovrebbe fare) per una vita (fare un mutuo per la casa e mettere al mondo un bambino sono impegni a "lunga scadenza"), sposarsi non è solo fare la festa e andare in luna di miele ( per poi rendersi conto una volta tornati che la "favola" è finita, magari fare anche un figlio per "soddisfare" il desiderio di maternità e poi divorziare dal marito e spennarlo a più non posso....
) Sicuramente è l'epoca peggiore per sposarsi e metter su famiglia (ma anche per progettare una convivenza a lungo termine) e fare progetti, visti anche i rapporti molto precari e i ruoli sempre più confusi
Torgnon (1350 mt) / Chatillon (530 mt) stazione meteo:
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