Il suo costo previsto è di 6 miliardi, di cui 2,5 (circa 40 per cento) giÃ* sottoscritti da societÃ* pubbliche azioniste della Stretto di Messina e 3,5 ancora da reperire sul mercato. Su questo l'amministratore delegato della Stretto di Messina spa, Pietro Ciucci, dichiara: "Per quanto riguarda l'aumento di capitale, sottoscritto dagli azionisti Fintecna, Anas, Rete Ferroviaria Italiana (di cui una prima tranche è giÃ* in esecuzione), coprirÃ* le spese fino ai primi anni di cantiere. La societÃ* si rivolgerÃ* solo a partire dal 2008 ai mercati". (2)
Dunque, la societÃ* intende portare avanti i lavori con i 2,5 miliardi di cui dispone, per poi ricorrere al mercato per il reperimento degli altri 3,5 miliardi occorrenti a completare l'opera quando ciò si renderÃ* necessario.
I dettagli sulle modalitÃ* di raccolta di questo ulteriore 60 per cento, e in particolare sulla possibilitÃ* di interventi a carico di risorse pubbliche che si potrebbero prospettare in conseguenza di eventi imprevisti, sono contenuti in una convenzione del dicembre 2003 che non è attualmente di dominio pubblico perché ritenuta "documentazione sensibile". (3)
La societÃ* scrive che quel restante 60 per cento è da reperire sui mercati internazionali senza garanzie da parte dello Stato. (4) Nel sito
www.messinasenzaponte.it si asserisce invece che nella convenzione il ministero garantisce "il 100 per cento dei costi imprevisti e la totalitÃ* dei rischi di gestione senza alcun tetto di spesa".
Sicché manca un pezzo di informazione importante; ma qualunque sia il suo contenuto, il corso di azioni che si sta seguendo è subottimale, se va bene. Se va male, molto peggio.
Gli scenari possibili sono tre: nel primo il mercato risponde bene e sottoscrive il capitale necessario; nel secondo non lo fa, ma subentra lo Stato attingendo a risorse pubbliche; nel terzo i fondi non si trovano e l'opera resta incompiuta. Se si verifica lo scenario più ottimistico, la societÃ* si trova comunque a operare dal 2004 al 2008 in assenza di azionariato di controllo (perché i 2,5 miliardi degli azionisti presenti costituiscono il 40 per cento del capitale, o ancora meno se i costi superano i 6 miliardi). Sarebbe allora meglio interpellare subito i mercati evitando questo problema di "blurred accountability". Nel caso in cui il mercato non risponde, ma al suo posto risponde lo Stato (l'unico che razionalizza l'operato della societÃ* se anticipato con certezza), il piano d'azione è insoddisfacente dal punto di vista delle procedure decisionali democratiche: staremmo impegnando risorse pubbliche future, ma senza discuterne, perché formalmente stiamo approvando un progetto privato. In questo caso, sarebbe opportuno discutere delle possibili destinazioni alternative di tali risorse e organizzare, se si decidesse di procedere alla realizzazione del ponte, una struttura di management pubblico. Se infine il mercato non dovesse rispondere e il Governo di turno avesse altro a cui pensare, la situazione sarebbe ovviamente disastrosa. Si noti che questa non è un'ipotesi del tutto irrealistica: per completare il Tunnel c'è voluta la volontÃ* di ferro della Thatcher; per il ponte tutto questo accanimento non lo si vede affatto, né a destra né a sinistra. (5)
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