Per quanto riguarda le Alpi occidentali il limite massimo del lariceto (in teoria subalpino, ma siamo comunque nel piano alpino) è di 2567 m (Punta Stella, Val Gesso) mentre il limite massimo raggiunto da un esemplare isolato di larice è stato misurato (negli anni '70!) in 2820 m sempre in Val Gesso (alla base del canalino ghiacciato nel Vallone di Lourousa). Per quanto riguarda le Alpi Liguri, che "soffrendo" della maggiore vicinanza del mare (e della minore elevazione di massa) hanno un limite massimo per le specie arboree più basso di un 200 m rispetto alle Alpi Marittime occidentali e alle Cozie meridionali, ho trovato larici in gruppetti e isolati fino a 2405 m sull'anticima Nord del Monte Bertrand (spartiacque Val Roya/Val Negrone), mentre il lariceto arriva compattamente a 2310 m sul versante est di Cima Missun (a pochissima distanza, sulla displuviale Roya/Tanarello).
Ultima modifica di galinsoga; 06/10/2017 alle 12:37
Si vis pacem, para bellum.
Premesso che il 'kit' fungino dei nostri suoli deve ancora cambiare e non bastano 30 anni di clima un po' diverso (in senso caldo) rispetto a prima per modificarlo, non concordo con parte delle osservazioni che hai fatto (basandomi sempre e comunque sulle mie esperienze e i miei luoghi, quindi non è detto che tu non abbia ragione), eccetto il punto 2 e alcune cose che chiarisco in coda.
1) Il fatto che il limite del bosco sia salito di quota è dovuto al fatto che fino a 50-70 anni fa, fino a 2000-2500 m di quota era tutto pascolo, al massimo pascolo arborato con qualche larice.
2) La risalita delle specie tipiche del piano montano in quello subalpino (visibile per esempio in provincia di Belluno) è principalmente indotta, in quanto frassino comune e acero di monte hanno legno perfetto per produrre attrezzi da lavoro leggeri e soprattutto sono ottimi produttori di frasche per l'alimentazione delle vacche, per cui l'uso del suolo tiene sempre alla loro diffusione. Non per nulla sono spesso piantati nei boschetti contigui ai paesi, dove poi vengono mantenuti lasciando ampie radure, ottime per la loro diffusione come pioniere secondarie.
Sul discorso delle roverelle e dei cerri potrebbe essere un principio di effetto del warming, ma prendendolo molto con le pinze: sono sì specie termofile, però resistono da dio a temperature anche inferiori a -20°C senza il minimo danno, così come orniello e carpino nero, per cui potrebbe essere un indizio-ancora prima che di un riscaldamento-di una maggior continentalità del clima (probabilmente con media annua un po' più alta rispetto alla faggeta pura delle stesse zone, ma è ancora presto per stabilirlo).
Si sbaglia a identificarle come termofile e basta, perché appunto sono molto rustiche, e dal loro areale di diffusione (Europa centromeridionale e sud-orientale) si evince proprio il loro amore per i climi ben continentali in contesto temperato umido.
E sì, detto questo concordo con la tua ultima affermazione.. Per me ancora sono cambiamenti poco visibili eh, principalmente dovuti alla differenza tra assenza e presenza dell'uomo e ai cambiamenti delle attività umane nel tempo, però una 'puntina' di naturale comincia ad esserci forse.
Ma infatti, relativamente al punto 3, ho il sospetto che a favorire la risalta a quote montane di specie tipiche dei rilievi più bassi sia stato, principalmente, l'aumento delle temperature estive e il relativo allungamento del periodo vegetativo, ossia l'esordio anticipato della stagione estiva e quello posticipato della stagione autunnale, trend che almeno per l'Italia settentrionale, sembra essersi consolidato a partire dal periodo successivo all'evento di Nino strong dell'estate 1987 e soprattutto dopo il 1998. Il limite superiore di Acer pseudoplatanus e Fraxinus excelsior sul versante interno delle Alpi coincide grossomodo con quello del faggio, che non è (potenzialmente) mai inferiore ai 1600 m (se non forse nel settore più interno delle Alpi Carniche).
Le notevoli estensioni di conifere e soprattutto di abete rosso, nel piano montano inferiore e medio, che si osservano in alcune aree delle Alpi centro-orientali sono state, probabilmente, favorite da tagli selettivi a danno di specie meno "interessanti" come il faggio (nei distretti a clima suboceanico) e il pino silvestre (in quelli a clima continentale). Nelle Alpi sud-occidentali il larice è stato favorito, a discapito dell'abete bianco e del faggio, in tutto il piano montano, fino ai 1600-1700 m. Infatti capita sempre più spesso di vedere forte rinnovo di abete bianco e faggio e modesto rinnovo di larice in gran parte delle zone delle Alpi Liguri, Marittime e Cozie al di sotto dei 1500 m.
Il larice è interessante da un punto di vista silvicolturale perché specie eliofila, per cui i boschi di larice, a differenza delle abetaie e delle faggete, sono pascolabili. Viceversa il larice si espande nuovamente nel piano subalpino e nella fascia 2000-2300 m, ossia in quella che era essenzialmente la fascia dei pascoli, in gran parte favoriti dall'uomo, a danno delle specie legnose (conifere ma anche lande subalpine di ericacee come rododendro e mirtilli). Tuttavia la fascia subalpina (1700-2300 m) risulta molto interessante, dal punto di vista delle dinamiche evolutive della vegetazione, perché influenzata in modo significativo, ma comunque inferiore rispetto a quella montana o collinare/basale.
Ti racconto un aneddoto curioso: qualche anno fa, all'Archivio di Stato di Genova, mi mostrarono un foglio di una mappa della Liguria risalente al periodo napoleonico, quando la Repubblica di Genova (assieme al Piemonte) divenne parte dell'Impero francese, il foglio riguardava il territorio dell'alta Val Tanarello (oggi quasi tutta in territorio imperiese) e riportava la ripartizione del territorio in proprietà con un'indicazione dell'uso. Rimasi impressionato da come, buona parte di zone oggi coperte da lariceto montano, abetaia di abete bianco e bosco misto di pino silvestre, abete bianco e larice fossero coltivate fino a circa 1700 m... mi chiesi allora quali coltivazioni potessero essere adatte a un territorio posto a quella quota, poiché certamente non si trattava di frumento e nemmeno di patate (che nel primo decennio del XIX secolo erano quasi sconosciute in Italia e che comunque a quelle altitudini hanno una resa molto bassa). Ebbene: in zone attualmente coperte da bosco c'erano moltissimi campi di segale, che si portavano fin verso i 1700 m , mentre il bosco (presumo lariceto rado e pascolato) aveva un'estensione molto modesta rispetto a quella attuale... in pratica il paesaggio vegetale precedente (fino XVIII inizio XIX secolo) risultava molto più antropizzato di quanto non lo possa essere quello dei giorni nostri...
Ultima modifica di galinsoga; 06/10/2017 alle 15:00
Verissimo, nelle valli si vedono ancora antichi terrazzamenti fino almeno a 1500-1700 metri nel versante esposto a S. Anticamente i boschi erano poco estesi proprio perché l'economia di sostentamento faceva sì che si coltivasse su ogni terreno coltivabile... spesso in posti ora invasi dal bosco più fitto si vedono le vestigia di antichi terrazzamenti e muretti a secco.. impensabile a pensarci ora, eppure. Probabilmente la resa dei raccolti doveva essere davvero esigua..
Lou soulei nais per tuchi
La resa dipende da quello che ci coltivi e ovviamente anche dal numero di persone che ci si devono sfamare (trattandosi di agricoltura di sussistenza). Diciamo che piccoli campi di frumento, verso i 1100/1200 m su versanti esposti a Sud e molto soleggiati potevano (forse) garantire, in certe zone delle Alpi Cozie e Marittime un raccolto regolare in molte estati (anche in piena PEG), ma di certo la coltura principale, dal Basso Medioevo in poi, dovette essere la segale, tanto più che partendo dagli 800-900 m di alcuni fondovalle (vedi zone come Demonte, Macra o Sampeyre) poi non è che di pendii sfruttabili per coltivare grano, sotto i 1200 m ed esposti a Sud, ce ne potessero essere tanti...
Per quanto riguarda il Trentino Alto Adige l'altitudine massima riscontrata per l'abete rosso per il momento è di 2615 m (Gruppo dell'Ortles-Cevedale) per il larice 2720 m (Gruppo Adamello-Presanella). Parliamo sempre di piante isolate che vegetano in situazioni favorevoli ma ecologicamente molto precarie, 350-400 m al di sopra del limite superiore potenziale del bosco di conifere, ma sono rinvenimenti che vanno moltiplicandosi negli ultimi anni.
Mi rendo conto che quando si perde l'abitudine di frequentare i forum, poi si perde anche l'abitudine a scrivere in modo che tutti possano capire.
Però ci sono coloro che scrivono un po' per passione ed un po' per professione e quindi tanto vale leggere loro.
Riporto qui di seguito questo articolo di Ivan Gaddari (MTG) che tratta in modo molto corretto la questione "precipitazioni & climate Change" relativamente al nostro paese.
L'articolo frutto probabilmente anche di continui confronti tra il redattore e gli utenti che gli scrivono... non parte dai dati pluviometrici medi dei vari orticelli, che come ho detto, con l'incremento dei fenomeni convettivi, non possono più essere più confrontabili con i dati del passato.
Bisognerebbe confrontare i rain rate.
Ecco l'articolo che riassume 100% quello che penso.
Eppure, capita che ce lo scriviate o che lo si senta dire spesso, fin dai primi di settembre c'è la sensazione che qualcosa sia cambiato. Si temeva un autunno all'insegna del gran caldo - viste le premesse estive e non solo - invece c'è stato un sorprendente cambio di marcia.
Sapete qual è il problema? Che le piogge, quando arrivano, non vengono in sella alle "canoniche" perturbazioni atlantiche.
Pochi decenni fa succedeva ciò, ovvero che a settembre partiva la grande ruota ciclonica oceanica (alias Depressione d'Islanda) e pioveva a ripetizione. Le cifre che leggete nelle varie medie pluviometriche d'Ottobre derivano dai tempi passati e forse andrebbero riviste per molte località.
Siccità, insufficienza di piogge: è questo il tema di punta del 2017. E' già un anno intero, o quasi, che registriamo precipitazioni inferiori al "normale" regime pluviometrico.
Oggi, invece, capita sempre più frequentemente che piove "male", ovvero non uniformemente e con troppa violenza (un po' in tutti i mesi). Ma allora, conclusasi la prima settimana d'ottobre è giusto continuare a parlare di siccità? Dopotutto molte regioni, se andiamo a guardare gli accumuli di pioggia mensili, hanno avuto precipitazioni superiori alla norma (un esempio su tutti, alcune zone delle due Isole Maggiori e varie altre).
Purtroppo si, dobbiamo necessariamente parlare di siccità perché vista la penuria precedente non bastano soltanto alcune fasi di maltempo per sanare la situazione. V'è necessità di altri cambiamenti, sostanziali e importanti, ma al momento non se ne vedono.
E questo è un grosso problema soprattutto per il futuro, sempre che non ci sia una mutazione radicale delle condizioni atmosferiche su vasta scala.
Ivan Gaddari MTG
my web site: http://www.anguillara-meteo.com con webcam live streaming
Ho imparato negli anni che discutere di meteo e cambiamenti climatici con chi si è avvicinato a questo hobby per amor di freddo e neve...alla fine è tempo perso.
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