
Originariamente Scritto da
John
Questa era la lungimiranza degli europeisti di un tempo:
Intervista con l’ex Cancelliere Helmut Schmidt
Un golpe per l’Europa
Servono una leadership e un patto tra Berlino e Parigi La Germania è arrogante
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«Abbiamo fatto una cosa mai vista prima al mondo. Abbiamo mascherato un aiuto di 5 miliardi di marchi all’Italia come se fosse un’operazione tra le banche centrali». Nell’estate del 1974 il Cancelliere tedesco Helmut Schmidt e il presidente della Bundesbank, Karl Klasen, vennero in Italia per incontrare a Bellagio il primo ministro italiano Mariano Rumor e il governatore della Banca d’Italia, Guido Carli. Il risultato del vertice fu un credito di 5,2 miliardi di marchi dell’istituto di emissione tedesco a quello italiano, garantito da 5 tonnellate d’oro che Bankitalia mise a disposizione nelle proprie riserve. Quello che pochi sanno è che si trattò in realtà di ben altro.
«Né l’opinione pubblica tedesca, né quella italiana capirono cos’era successo. Era di fatto una violazione delle leggi fiscali tedesche. Ma se l’avessimo fatto come governo, avremmo dovuto chiedere il voto del Parlamento. Non l’abbiamo fatto. Però in quel momento era necessario agire così, era la cosa giusta da fare: l’Italia era in difficoltà finanziarie, noi tedeschi dovevamo aiutarla. Cinque miliardi di marchi erano una cifra importante al tempo. Ma l’Italia fu salvata, il prestito venne ripagato nei termini previsti e l’oro non venne mai toccato».
Mentre mi racconta l’aneddoto, col sorriso di chi sa di rivelare una piccola e sconosciuta pagina di storia europea, Helmut Schmidt riesce a fumare due sigarette e tirare una presa del suo adorato tabacco da fiuto. Avrà pure 95 anni l’ex Cancelliere federale, che l’età ha levigato nei tratti e ammorbidito nella figura, una volta snella e nervosa. Ma la sua testa rimane un brillante e i suoi occhietti azzurri sprizzano ancora vitalità e ironia. Non ha pescato a caso l’episodio del lago di Como. Gli serve per esemplificare un punto politico importante: «Ciò che accadde allora fu in un certo senso simile a quanto sta facendo oggi Mario Draghi: probabilmente il presidente della Bce agisce in violazione del Trattato, ma è necessario, sta facendo la cosa giusta».
Andare a trovare Schmidt nel suo ufficio amburghese è come fare un bagno di franchezza e di onestà intellettuale. Ma soprattutto è andare a ritrovare la forza dell’idea d’Europa, la chiarezza del progetto della casa comune, che i leader della sua generazione ebbero sempre presente non tanto nella retorica delle formule, quanto nella concreta azione di governo. Anche a costo di forzature e di colpi d’ala, ai quali nessuno degli attuali dirigenti politici europei appare desideroso e in grado di ispirarsi.
Signor Cancelliere, qual è lo stato dell’Unione? È più ottimista o più pessimista rispetto a un anno fa?
«Non ero ottimista un anno fa e non sono troppo ottimista oggi. Non c’è grande differenza».
Ma abbiamo assicurato la stabilità dell’euro: è d’accordo?
«L’euro non è il problema dell’Europa o comunque non è quello principale. I problemi europei sono molteplici. Al primo posto c’è l’indebitamento di alcuni Stati. Poi c’è l’incapacità dei leader europei di affrontarlo. Inoltre c’è unminore impegno verso l’integrazione rispetto a cinque anni fa. Tutti questi fenomeni affondano le loro radici nel 1991-1992, quando l’allargamento si sovrappose alla nascita dell’euro. Allora eravamo appena in dodici e commettemmo il doppio, ridicolo errore di invitare tutti a essere parte dell’Unione e allo stesso tempo di partecipare all’euro. Inoltre, quasi nessuno dei 27 Paesi membri ha mai pensato di pagare soldi al bilancio comune, di trovarsi cioè nella condizione di contributori, ma tutti sono sempre stati interessati a ottenere qualcosa, a spremere risorse. E questo hanno fatto. Da ultimo, nessuno o quasi degli attuali leader crede nella necessità dell’integrazione europea. Non si rendono conto che gli europei stanno giocando d’azzardo col futuro degli Stati-nazione in quanto singole entità».
Ma questa incapacità a comprendere la necessità dell’integrazione è di carattere politico o intellettuale?
«Entrambi. Nella sostanza è l’incapacità di capire la decrescente vitalità della civiltà europea, la sua decadenza. All’inizio degli anni Cinquanta, poco dopo la fine della guerra, eravamo in forte crescita demografica. Poi è subentrata la stagnazione e oggi siamo in piena denatalità. Demograficamente l’Europa rimpicciolisce e invecchia. Ma il resto del mondo — Asia, India, Africa e perfino il Nord America — cresce rapidamente, mentre noi andiamo in direzione opposta. Ci sono solo due altre nazioni demograficamente in crisi: la Russia e il Giappone. La percentuale della popolazione europea su quella mondiale continua a scendere: nel 2050 saremo il 7% e il nostro prodotto lordo non sarà più del 10%, mentre nel 1950 era il 30%. L’unica speranza di avere un ruolo è di averlo insieme, l’interesse strategico degli Stati-nazione europei nel lungo termine è la piena integrazione economica e politica. Ecco la ragione per cui parlo di inevitabile necessità».
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