
Originariamente Scritto da
alexeia
Ricordo nitidamente. Eravamo tutti appiccicati al televisore, a seguire gli eventi.
Ma la sensazione, ripensandoci, era strana, non era quella di una diretta come siamo abituati oggi.
Non eravamo abituati a questo, i mezzi tecnici permettevano di trasmettere in diretta solo per cose programmate da lungo tempo e ben organizzate anche per permettere ciò, e soprattutto cose importanti. Poi c'era anche il controllo di ciò che andava in onda, la paura che potesse crearsi qualche situazione fuori controllo, il lapsus che solo pochi professionisti potevano garantire di saper evitare.
O era il Giro d'Ilalia, che ovviamente sino all'ultimo nessuno sapeva come sarebbe andato a finire, oppure una "narrazione" era fiction. E le fiction di solito andavano a finire bene. Ci si aspettava il lieto fine.
Ecco, la sensazione con cui seguivamo - i miei compagni di classe, i familiari, le persone che avevo attorno - lo svolgersi delle immagini era quella: una narrazione televisiva particolare, vera come le dirette sportive, con una sfida da vincere, ma contemporaneamente un film, qualcosa che metteva ansia, trepidazione, per cui tutti tifavano, ma che si immaginava avrebbe avuto il suo momento liberatorio nell'emersione del piccolo dal pozzo. Se era in tv, voleva dire che ce l'avrebbero fatta.
Poi man mano che procedevano le ore, dopo il fallimento di Licheri, è subentrata l'incredulità, e poi si è capito che la verità che veniva trasmessa era più ineluttabile di quanto si era potuto immaginare sin dall'inizio.
Un conto era vedere decine di volte il replay di un incidente sportivo o di un attentato già avvenuto, ma per il quale, appunto si era già preparati all'esito, si era già vissuto il trauma della "prima notizia", solo a parole e non con la realtà delle immagini. Questa volta no, il trauma era in diretta, vissuto in tempo reale, cioè goccia a goccia, minuto per minuto.
Lo ricordo ancora come qualcosa che ci ha segnato, soprattutto noi ragazzini che ancora dovevamo prendere le misure precise della realtà.
Poi vennero le polemiche, se avessero fatto, se non avessero fatto... e poi la tv del dolore, l'opportunità di continuare la diretta, il successo della trasmissione...
Al momento però non l'abbiamo vissuta così. Non c'era la morbosità a cui associamo adesso fenomeni come il turismo delle catastrofi, o il gusto di rivedere le scene più raccapriccianti senza censure. C'era partecipazione, ansia... si era lì incollati al video perché si sperava che ce la facessero, non per apprezzare l'emozione di una tragedia in diretta.
Quello secondo me è un'idea che è maturata dopo. Probabilmente anche la Rai, nel momento in cui ha iniziato a trasmettere, non sapeva dove sarebbe arrivata, e a un certo punto si è trovata a non poter interrompere, perché le persone volevano avere la buona notizia il prima possibile, e dare le notizie era un compito della televisione pubblica.
Non ricordo nemmeno che qualcuno nel mio intorno fosse scandalizzato da quelle immagini, o che ci siano stati commenti negativi, al momento. Eravamo tutti sconvolti, e volevamo e sapere e sperare.
Poi il resto è venuto dopo, quando man mano sono venuti meno i freni inibitori, lo share ha prevalso - e qui entra in gioco la concorrenza fra reti pubbliche e reti private, quindi siamo già in un altro mondo - e via via ci siamo abituati a scene sempre più vere, sempre più crude e spesso sempre più gratuite, assuefacendoci.
Ma allora, io credo che la partecipazione del pubblico sia stata sincera, e l'azione della tv forse ancora pulita da speculazioni.
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