Sono indignato: questo "uomo", per chi non se lo ricordasso, è stato il boss della malavita del Brenta...

Faccia d’angelo tentò di evadere dal S. Pio X


Accadde nell’aprile del 1994. Poi promise: «Vedrete, non morirò in galera»


Venezia. Al processo davanti alla Corte d’assise veneziana, nel 1994, si fece servire nella “gabbia” spaghetti all’astice e prosecco. Uno dei tanti episodi che definiscono la figura di Felice Maniero, “faccia d’angelo”, il boss della “mafia del Brenta”.
Di lui si era tornati a parlare recentemente dopo che, nel gennaio scorso, la polizia aveva sgominato nel Veneto una banda che progettava di ucciderlo perchè diventato collaboratore di giustizia.
Al paese natale, a Campolongo Maggiore, in provincia di Venezia, dove è Maniero è nato nel 1954, una faraonica villa con piscina testimoniava la sua potenza: un giudice aveva tentato di porla sotto sequestro con i beni di altri mafiosi ma il tribunale della libertÃ* la aveva restituita a lui e ai suoi familiari.
Il primo arresto di “faccia d’angelo” risale al 1980, per una guerra fra bande rivali; quattro anni più tardi, quando venne bloccato a Modena in una trattoria assieme al suo luogotenente Stefano Carraro, era giÃ* più di un piccolo boss di provincia.
Le amicizie con i siciliani segnarono ulteriormente la sua carriera. L’ombra di Maniero e dei suoi uomini, ora vittime degli omicidi, ora protagonisti, spuntava sempre dietro la lunga catena dei 17 omicidi registrati in Veneto negli anni Ottanta, e alle due rapine miliardarie ai danni del Casinò di Venezia e dell’aeroporto “Marco Polo”, dove era in partenza un carico di 170 chilogrammi d’oro.
“Faccia d’angelo” era il gran burattinaio. La sua banda lo fece evadere nel dicembre 1987 dal supercarcere di Fossombrone (Pesaro). Pochi mesi di libertÃ* e ad agosto del 1988 venne bloccato ed arrestato a Chiasso.
Di nuovo libero nel 1989, non impiegò molto a sfuggire ai controlli della vigilanza speciale.
Criminalpol e squadra mobile di Venezia lo riacciuffarono il 13 agosto 1993 a Capri. Lì la sua predilezione per mondanitÃ* e lusso era riassunta in uno yacht da un miliardo e mezzo di lire, appena acquistato.
Dopo un nuovo tentativo di fuga da Vicenza, nell’aprile del 1994, promise che non sarebbe morto in galera.
Puntuale, due mesi dopo, l’intervento di polizia e carabinieri che appresero in anticipo e impedirono un assalto giÃ* pronto al blindato che avrebbe condotto Maniero al processo.
L’ultima fuga il 16 giugno 1994, dal supercarcere di Padova assieme al braccio destro Antonio Pandolfo e ad altri fedelissimi.
Non passò un mese e il 7 luglio successivo venne la condanna a 33 anni di reclusione per tutti gli episodi degli anni Ottanta.
E infine l’ultima cattura, a Torino, nel novembre 1994. Poi la collaborazione con la giustizia, la fine della banda, e una pena ridotta a 11 anni in appello, più altri 14 per una decina di omicidi.
Ammesso al programma di protezione, ne venne di nuovo escluso per una serie di violazioni delle norme di comportamento e di nuovo arrestato nel maggio 1998 per scontare la pena definitiva, venti anni e quattro mesi di reclusione con scadenza nel 2018, nel carcere di massima sicurezza dell’ Aquila.
Dopo aver cambiato il nome, sta scontando la pena agli arresti domiciliari in una localitÃ* tenuta segreta, con la possibilitÃ* di uscire di casa per portare avanti un’attivitÃ* imprenditoriale.