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Poveri davvero...
Uno non può proprio più esprimere una pacata opinione che lo arrestano subito...
I secessionisti del Veneto intercettati: «Tagliare salame? No, carichiamo candelotti» - CRONACA
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Neutrofilo, normofilo, fatalistofilo: il politically correct della meteo
27/11: fuori a calci i pregiudicati. Liberazione finalmente.
Sicuramente quello che scrivi è vero. E infatti so già benissimo che piuttosto che avere certa gente a capo del Paese fuori dall'Euro preferirei star dentro l'Euro. Ma come ti ho già detto so solo che è una situazione meno peggiore, non tanto migliore, per il semplice motivo che comunque dentro l'Euro l'Italia beneficia di rendimenti mai visti da quando esistono i cambi flessibili.Ossia di una situazione in cui comunque gli incentivi sono quelli di non combinare un cavolo, a parte tenere sotto controllo i conti pubblici.
Altra cosa sulla quale non sono così tanto d'accordo è appunto il fatto che ci si basi come indicatore della salute di un Paese solo sui conti pubblici: non ha alcun senso. Un Paese che ha spesa al 50% del PIL e tasse al 52% del PIL ad esempio è un Paese con ottimi conti pubblici ma se è pieno di burocrazia, se ha una giustizia lenta e macchinosa, se ha un mercato del lavoro rigido e immobile rimane comunque un'economia messa da schifo. Invece un Paese che ad esempio ha spesa al 30% del PIL, tasse al 27% del PIL ma burocrazia efficiente, giustizia rapida e mercati del lavoro dinamici non sarà un Paese messo meglio del primo?
Ebbene l'Italia dal 1992 a oggi - al netto degli interessi - ha sempre speso meno di quello che tassava (tolto il 2009). Cioè per migliorare i conti pubblici, specie negli anni '90, si è data un gran daffare. Ma tutto il resto dell'economia rimane arretrato: burocrazia, giustizia, lavoro, infrastrutture ecc. sono arretrati e inefficienti. Non si può certo definire Paese sano solo perchè ha creato avanzi primari. Eppure è solo questo che chiedono i trattati europei: rispettare il tetto del 3%. La nostra classe dirigente lo ha fatto in diversi anni, lo sta facendo tuttora, ma facendo cosa? Riforme strutturali e tagli di spesa? No,semplicemente aumentando le tasse più della spesa e giustificando gli aumenti delle tasse con il fatto che "se pagassero tutti pagheremmo di meno" \fp\, con l'idea che "chi ha di più deve dare di più" ecc.
La cosa incredibile è che gli italiani digeriscono con estrema tranquillità il fatto di dover bruciare la loro ricchezza trasferendone sempre di più allo Stato scialacquatore mentre non appena si annunciano minimissimi tagli di spesa, tutti in piazza, coi sindacati e con tutto il potere corporativistico correlato a essi a gridare che lo Stato ladro deve investire di più, cioè deve sperperare di più il denaro altrui.
Purtroppo penso che in parte ti si debba dare ragione, euro o non euro finchè la mentalità è questa c'è poco da fare.
Ma scusami Domenico, dentro all'Euro quale liberismo stiamo vedendo? Quali riforme stiamo vedendo, Fornero a parte?
Comunque vorrei chiederti, secondo te, visto che "noi liberisti siamo per il break-up euristico", quale economista ha pronunciato queste parole relativamente all'Euro:
"La teoria economica dice questo: in un’area valutaria in cui non c’è mobilità, non ci sono trasferimenti e per di più avviene uno shock, si ha un collasso. L’aspetto criminale dei fondatori dell’Euro è che tutto questo lo sapevano, e non solo non han fatto nulla, ma anzi l’hanno fatto apposta: la crisi dell’Euro di oggi era inevitabile. Dire che è colpa degli Stati Uniti è una balla: è vero che è stata quella la causa scatenante, ma la crisi era inevitabile. Non fosse successo il patatrac negli Usa sarebbe successo altro. Era una scelta premeditata: "Nel momento di crisi, ci uniremo di più", si pensava. Abbiamo buttato il cuore oltre l’ostacolo, solo che il corpo è rimasto di qua."
Scommetto che se ti dico chi l'ha scritto non ci credi \as\\as\![]()
«L'Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l'Italia sono i furbi, che non fanno nulla, spendono e se la godono» (Giuseppe Prezzolini, 1921)
Ultima modifica di Josh; 04/04/2014 alle 18:08
Sono in linea di massima d'accordo. Però puntualizzerei una cosa... lo "Stato" o "i politici" non sono stati messi lì dalla mano di Dio...cioè...siamo sempre noi. I politici siamo noi, la nostra classe politica ci rispecchia pienamente, non è una classe politica straniera. Noi siamo gente che la domenica va in chiesa, mentre la sera prima ha lasciato i figli davanti alla tv mentre andava a mignotte, quelli che si lasciano andare in chiacchiere da bar sul "governo ladro", quelli che appena possono non emettono la fattura o non fanno lo scontrino (e credetemi nel campo degli elettrauti, meccanici, idraulici ecc.ecc.ecc. sono TANTI, TANTISSIMI), quelli che appena possono non pagano il parcheggio o prendono il bus a sbafo, quelli che in un modo o nell'altro, chi più chi meno, cercano SEMPRE di fregare il prossimo perché ci sentiamo più furbi, più svegli (eh eh non mi faccio mica fregare dallo Stato ladro io, macchè fattura, facciamo in nero). Quindi, non è lo Stato che frega noi o noi che freghiamo lo Stato. Siamo noi che ci freghiamo da soli, automaticamente, e la cosa patetica è che non ce ne rendiamo conto. Pensiamo sempre che sia colpa di qualcun altro che non siamo noi. E' colpa dell'autonomo perché è evasore, colpa del dipendente pubblico perché è un fancazzista, colpa dei lavoratori dipendenti perché si fanno tutta la mutua che vogliono, colpa del politico perché si arricchisce con i nostri soldi... sempre colpa di qualcuno altro, senza capire che il politico, il corrotto, lo scialacquatore di fondi pubblici, l'evasore, il mantenuto ecc.ecc. siamo sempre e solo NOI.
Lou soulei nais per tuchi
Ti faccio vedere una cosa ma presta attenzione.
Ti invio un link relativo ad un articolo sulla BCE:
Open Post: Cosa VI Aspettate che Accada se la BCE si mettesse a Stampare? - Rischio Calcolato
Poni mente ai commenti.
Guarda quello di tale Antonello S.:
Antonello S. • 14 ore fa Ti ha risposto compiutamente Genius...
"Mi sembra che stai rivoltando i termini della questione.
Chi contesta la BCE e tutto il progetto eurocratico, non vuole più Europa, un Europa migliore o meno rigore, come dicono ingenuamente quelli del PD, ma vuole riappropriarsi di una serie di strumenti sovrani, primo fra tutti la possibilità di battere moneta e stabilire le politiche monetarie più congeniali al proprio Paese.
Io credo che ormai esistono centinaia di prove sul fatto che il progetto eurista non è stato ideato per garantire benessere alle popolazioni, quindi occorre liberarsene al più presto, senza aspettarsi da Mario Draghi nessun finto intervento salvifico.
Invece, per esempio, uno Stato che avesse la possibilità di spendere a deficit nei momenti di recessione e di massima inoccupazione, potrebbe creare migliaia di posti di lavoro in poco tempo solo migliorando il decoro del territorio nazionale con la manutenzione del verde, delle strade e di tutti gli edifici pubblici abbandonati all'incuria più totale".
Capisci che significa un tale commento o il liberismo reale da manuale di economia politica ti ha ottenebrato la capacità di valutazione pragmatica della realtà effettuale?
Significa che MAI E POI MAI LE FORZE CHE DOVREBBERO GUIDARE IN ITALIA IL BREAK-UP DELL'EURO O L'USCITA UNILATERALE DALLA MONETA UNICA SI SOGNEREBBERO LONTAMENTE DI CONDURRE LE POLITICHE NEO-REAGANIANE CHE PROPUGNI.
VUOI CHE TE LO SCRIVA IN UN'ALTRA LINGUA?IN SWAHILI?IN DIALETTO CREMASCO?IN CATALANO?
L'ITALIA FUORI DALL'EURO SAREBBE LA CAVIA DELL'MMT O DEL DEFAULTISMO ARGENTINO.
PERCHE'?PERCHE' E' LA COMPOSIZIONE DELLE FORZE POLITICHE ANTI-EURO E DEGLI ELETTORI CHE LE SOSTENGONO A CONDURRE A QUESTO ESITO.
DO YOU UNDERSTAND?
Ultima modifica di Josh; 05/04/2014 alle 07:49
Come no,l'Italia esce dall'euro ed attua la Rivoluzione liberale...andrà proprio così,sissignore...
Ma questo dove?In qualche aula della Facoltà di Economia di Ferrara?
Leggi qua(è sempre Seminerio che scrive):
Il tema è la leggendaria uscita dall’euro come evento salvifico per la periclitante nazione italiana, dipinta come terra di conquista da parte di lanzichenecchi spietati, che per anni (anzi, millenni, come vedremo) hanno studiato a tavolino questo diabolico piano e che ora si accingono a sferrare l’attacco finale alla Patria prostrata dal lungo inverno della guerra di logoramento.
Inutile, in questa sede, ribadire le problematiche operative estreme che l’uscita dalla moneta unica richiederebbe ed indurrebbe: il blocco dei prelievi bancari fino ad avvenuta sostituzione della valuta, che richiederebbe un’azione notturna e senza preavviso, ad evitare corse agli sportelli da parte dei cittadini, molti dei quali favorevoli all’uscita dall’euro ma solo un minuto dopo aver portato a casa i propri risparmi, lasciandoli rigorosamente denominati nell’odiata valuta; l’introduzione di controlli a tempo indeterminato sui movimenti di capitali, con conseguente isolamento del paese dai mercati finanziari; l’esplosione di un devastante contenzioso internazionale ad oltranza tra creditori e debitori. Sono tutte cose già tratteggiate nella letteratura economica e politica degli ultimi anni, e comunque la rivoluzione non è un pranzo di gala. Il nostro paese è giunto a questa crisi esistenziale da predestinato. Un destino fatto di incuria politica, di assenza di riforme di struttura negli anni in cui era possibile (ed obbligatorio) farle, del convincimento (comune a moltissimi, dentro e fuori l’Italia) che l’unione monetaria potesse determinare la morte del rischio di credito e l’avvento di un nirvana finanziario in cui un titolo di stato greco (o italiano) valesse per definizione come uno tedesco (è persino accaduto).
Per un paese come il nostro, che ha fatto un marchio di fabbrica della cultura emergenziale, della incapacità antropologica a programmare e riformare se non sotto il tallone di un qualche feroce vincolo esterno, di un discorso pubblico infantile e dominato da forme di pensiero magico, l’ingresso nell’euro era un disastro che attendeva di accadere, e così è avvenuto. Per queste stesse motivazioni, anche l’uscita dalla moneta unica è rapidamente divenuto tema da Arcadia, sul quale innestare unanarrativa onirica fatta di bei tempi andati che mai sono esistiti nelle forme narrate. A ben vedere, questa è soprattutto una battaglia di controfattuali, del “come si stava bene, quando ci dicevano che si stava male”. L’aggressività con cui esponenti del fronte no-euro attaccano i cosiddetti “sostenitori” dell’euro (i quali spesso finiscono col balbettare frasi fatte e luoghi comuni su un valore altrettanto salvifico dell’euro che oggi nessuno riesce più a percepire) è paradigmatica: guardate come crescevamo, all’epoca, guardate come pagavamo stipendi e pensioni, con la loro bella scala mobile. Veniamo da lì, possiamo tornarci.
Ricordate? Erano i tempi del “punto unico di contingenza”, del salario variabile indipendente, delle pensioni che non si negavano a nessun quarantenne dipendente pubblico né a nessun cieco che guidava l’auto. Erano anni ruggenti, il miracolo economico era terminato da lustri ma per qualcuno era ancora in corso, c’erano le magiche televisioni in bianco e nero. Un po’ più indietro, in quell’Età dell’Oro, c’erano persino le case chiuse, come ricordano con nostalgia i più anziani, “mica come ora che ci sono le negre che bruciano i copertoni sotto casa mia e non pagano le tasse. Sa quanto potremmo farci, con tutti quei soldi?”. Del tutto futile scoprire che queste narrative sono un miscuglio psichedelico di momenti del tutto differenti e non legati tra essi.
Ma ancora più pericoloso e cognitivamente dissonante è scoprire che i nostri “problemi” sono cominciati molto prima dell’euro, con il “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia, oltre trent’anni addietro, quando (anche per impegni/vincoli internazionali) il nostro paese ha deciso che la banca centrale non dovesse più stampare moneta per comprarsi (in via residuale ma non troppo) la montagna di titoli di stato che un deficit pubblico in doppia cifra riversava sul mercato. La vasta cospirazione internazionale volta a mettere sotto tutela un paese orgoglioso e dinamico come il nostro era quindi in atto da molto prima dell’avvento della moneta unica. Secondo alcuni, quelli più vocati a congiungere i puntini, tale cospirazione data almeno dall’Unità d’Italia, fors’anche da prima. Forse lo stesso sfaldamento dell’Impero Romano rientra nel complotto ordito contro di noi dai barbari invasori germanici. Da sempre tentano di imbrigliarci perché troppo brillanti, in un mondo di mediocri.
“Se potessi avere mille lire al mese”, s’intitolava una celeberrima canzone dei tempi andati il cui testo era purtroppo stato scritto senza prevedere la possibilità di indicizzazioni salariali. Ora forse torna la Speranza: stampiamo il nostro destino. Del resto lo abbiamo visto fare ad americani, inglesi, giapponesi, no? Si, ma loro non stampavano per coprire il deficit. E che cambia? Finalmente potremo pagare le pensioni, la sanità, la scuola, un arcobaleno tutto per noi. Siamo latini, finiremmo argentini o venezuelani, non yankee. Gli indizi ci sono già tutti, basta leggere i giornali, soprattutto di destra, la nostra destra-cascame e liberiota, fatta di borborigmi più che di argomenti. Che poi, a dirla tutta, se “argomenti” sono quelli della nostra sinistra banchiera e bancarottiera, non sapremmo se spararci o gettarci sotto la metro. Ma è comprensibile, del resto: Pinocchio era italiano, sino al midollo, e gli zecchini interrati nell’Orto dei Miracoli in attesa della loro moltiplicazione erano il precursore di una banca centrale che stampa felicità.
Poi, da una eventuale uscita dalla moneta unica ci sarebbero quelle che gli anglosassoni chiamano unintended consequences. Ad esempio, per restare nell’arido mondo dei contenziosi legali, quelle di società a maggioranza pubblica (ad esempio ce n’è una che comincia con E e finisce con L) che si sono pesantemente indebitate a termini di legislazione non domestica, emettendo eurobond, e che non potrebbero in alcun caso riconvertire il debito in moneta nazionale. Come fare, per evitare il loro dissesto e default? Che domanda, nazionalizziamole integralmente. Con quali soldi? Ma come, stampandoli, no? E per le imprese private quotate che si trovassero nelle stesse condizioni? Anche qui, si nazionalizzano: non vorrete mica essere così micragnosi, ora che andiamo verso la ritrovata sovranità e possiamo pure ridare allo stato la sua sacra primazia contro gli odiati capitalisti privati, no?
Si, ma l’Italia è un paese di pensionati, cioè soggetti a reddito maledettamente fisso che temono l’inflazione. Uscendo dalla moneta unica bisogna mettere in conto una qualche risalita dei prezzi. Certo, non le ridicole devastazioni preconizzate dai pro-euro, ma anche un 5, 8, 10 per cento di inflazione annua azzannerebbe le pensioni. Ma che problema c’è? Scala mobile e stampante, paese trionfante!
E comunque i soldi arriveranno, perché con una nostra moneta esporteremo a cannone e a tavoletta. Si, ma se i nostri partner commerciali, evidentemente rosi dalla gelosia per i nostri trionfi commerciali e produttivi, decidessero di punirci per le nostre svalutazioni competitive, infliggendo dei dazi al Made in Italy? E allora noi faremo lo stesso, “compra italiano” la trionferà! Non solo: inizieremo un grandioso programma di reindustrializzazione domestica, finanziato con la nostra stampante magica. Un impegno concreto, più chilometro zero per tutti, ovunque!
E sia chiaro che questa sarebbe una operazione patriottica. Per questo motivo, chiunque pensi che dal ritorno ad una valuta nazionale deprezzata possa derivare shopping di aziende italiane da parte dei barbari d’oltreconfine, se la faccia passare: nessuno straniero potrà acquisire imprese italiane, perché gli investimenti esteri sono schiavitù in potenza. Se i nostri imprenditori avranno bisogno di cedere la propria attività, lo stato e la sua stampante magica subentreranno. Non dovrà più accadere come dopo il crollo della lira del 1992, quando la Deutsche Bank si comprò per un pugno di marchi due banche italiane cambiandone le insegne in quelle teutoniche.
Ci saranno pure effetti collaterali delle svalutazioni da ritorno a moneta nazionale ma ci hanno insegnato che la sovranità è amore: vince sempre, su odio e invidia. Questa sarà solo la prima fase, naturalmente: dopo il ritorno della moneta nazionale sarà chiaro che questa è una rivoluzione permanente, e che dopo tutto l’Italia è pur sempre una ridicola espressione geografica. Si procederà pertanto a dismettere la neo moneta italiana, introducendo valute di macro-regione, aggregazioni comunali, quartiere e, in prospettiva, supercondominio. Federalismo o muerte.
E tanti poi non tengono neppure conto che esportiamo prodotti trasformati, e che le materie prime non costano affatto come negli anni 70
E' una causa persa.Il sovranismo lirista non vuol sentire ragione:è pura nostalgia del passato,del benessere a debito,della svalutazioni competitive ecc.ecc.
La Germania ha le sue colpe e le sue ottusità.Ma i liristi,quando li leggo e sento i loro argomenti,conferiscono alla classe dirigente tedesca un grosso alibi.
A me preoccupano ancora di più i guru economici.Uno come Bagnai,che fino al 2011 non era conosciuto da nessuno,ora è sulla cresta dell'onda.Per non dire di Borghi.Fino a 3 anni lo conoscevate?E la Napoleoni,che ha riempito il web con i suoi"Facciamo come l'Argentina?".E Brancaccio,che vuole ripristinare la scala mobile?Galloni e le sue tesi complottiste?
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