Tornando al discorso ferie e chi diceva è tutto pieno etc
Appena chiamato villaggio da circa 100 casette in Gargano
Avevo prenotato solo una settimana dal 2 al 9, mi hanno esteso senza problemi fino al 13.
Quindi neanche la settimana di ferragosto è piena , e ci hanno dato solo 4 gg invece che 7 pur di avere un po’ di gente
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Ah guarda, per quanto mi riguarda le vacanze sono un miraggio lontano qualche anno luce, soprattutto dopo che il commercialista mi ha comunicato le tasse che devo pagare. Boh, più guadagno e meno riesco ad arrivare a pagarle, a me sembra assurdo. Dovrò veramente rivedere spesa per spesa perché ogni anno fatturo di più e ogni anno, tra aumento di qualsiasi cosa e imprevisti, sono sempre più preso per il collo. É veramente frustrante
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https://themarketjourney.substack.com :
economia, modelli, mercato, finanza
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Si vis pacem, para bellum.
L’autolesionismo di Trump e Meloni
Diversamente dalla narrazione dominante, l’UE non è stata umiliata e Trump ha solo danneggiato l'economia americana. Ma la proposta miope e autolesionista di Meloni rischia di ribaltare la situazione
“L’Unione Europea pagherà il 15% — e ci venderà beni per 600 miliardi di dollari. Hanno accettato, per la prima volta, di permettere alle imprese americane, agli agricoltori, agli allevatori e ai pescatori di vendere nel mercato europeo”. Howard Lutnick, Segretario al Commercio degli Stati Uniti, ha commentato così l’accordo commerciale siglato da Donald Trump e Ursula Von der Leyen a (il corsivo è mio).
Vuol dire che finalmente anche noi europei potremo assaggiare la Coca Cola e assaggiare i panini di McDonalds? Niente più chinotto e pizza con la mortadella? Ovviamente, al netto dello strafalcione (Lutnick intendeva dire “comprerà”, non “ci venderà”), quelle del Segretario al Commercio sono bugie grossolane, rivolte agli strati più ignoranti del pubblico MAGA. Tuttavia, i media europei hanno involontariamente contribuito a diffonderle anche nel vecchio continente.
La lettura dell’intesa tra Unione Europea e Stati Uniti prevalente nel dibattito europeo è stata guidata interamente da aspetti simbolici.
15% a 0! 600 miliardi di investimenti a 0! 700 miliardi di acquisti a 0! Von der Leyen piccola e contrita nel suo giacchino bianco accanto a Trump tracotante e straripante come sempre.
Il messaggio arrivato al pubblico è: “Europa umiliata.”
Ma se si chiarisce che quel 15% è quanto pagheranno gli americani e quello 0 è quanto pagheranno gli europei, mentre quei 600+700 miliardi sono solo promesse vaghe e largamente irrealizzabili (perché le decisioni di investimento private non dipendono dalle istituzioni europee), forse si inizia a capire che lasciarsi guidare dagli aspetti simbolici può essere molto fuorviante.
Trump non ha vinto. L’Europa non ha perso. Il presidente ha dato una grande martellata all’economia americana dove fa più male, e l’Europa lo ha gratificato con una pacca sulla spalla e ha contenuto i danni.
In questo post (e nel corrispondente episodio del podcast) torno sulla distribuzione dell’onere dei dazi, affronto più dettagliatamente la questione degli investimenti europei negli Stati Uniti, e provo a spiegare perché la proposta di Giorgia Meloni di sussidiare le imprese esposte al commercio con gli Stati Uniti è controproducente.
I dazi saranno pagati dagli americani
Come già ho spiegato commentando l’intesa a caldo, l’aliquota del 15% è sostenibile, anche se probabilmente infliggerà all’economia europea dei danni inutili, cui non corrisponderanno vantaggi per gli Stati Uniti. Anzitutto, non conta solo il livello assoluto delle tariffe, ma anche quello relativo. Il 15% è lo stesso tasso applicato a Giappone e Corea del Sud, ma inferiore rispetto a Brasile, Cina, India, Vietnam e altri paesi esportatori negli Stati Uniti. Significa che I prodotti europei non perderanno competitività rispetto a quelli del resto del mondo sul mercato americano.
Ma soprattutto, l’industria manifatturiera americana non ha la capacità (e probabilmente neppure la volontà) di sostituire le importazioni europee, almeno nei prossimi anni. Negli Stati Uniti, le imprese fronteggiano un clima economico molto più incerto di quello europeo. Il comportamento di Trump è così erratico che nessuno può prevedere quali direzioni prenderanno le politiche commerciali e industriali nemmeno nel breve periodo.
In queste condizioni, le imprese non possono progettare investimenti colossali per mettersi a fare concorrenza a prodotti che in Europa o altrove si realizzano in condizioni più favorevoli. Inoltre, qualsiasi investimento in questa direzione sarebbe svantaggiato proprio dal fardello dei dazi: per esempio, i produttori statunitensi di automobili devono pagare il 25% sui componenti provenienti da Messico e Canada, e sono penalizzati dai dazi del 50% su acciaio e alluminio.
Il risultato è che i dazi previsti nell’accordo difficilmente stimoleranno la produzione domestica dei beni tassati, e graveranno in misura probabilmente modesta sugli esportatori europei. Una misura che potrebbe essere compensata, anche interamente, dalle fluttuazioni del dollaro. Inoltre, le esenzioni sono tali da proteggere molte esportazioni europee di valore strategico per le nostre economie.
In ogni caso, i dazi saranno pagati quasi interamente dalle imprese e dai consumatori statunitensi. I meccanismi che porteranno a questo esito sono spiegati dettagliatamente nel terzo episodio del mio podcast: “Guida ai dazi estivi di Trump”. In sintesi: I dazi generalizzati sono tasse sul consumo di beni importati, che fanno aumentare i prezzi di una percentuale verosimilmente simile all’aliquota. Le imprese americane sosterranno costi di produzione più elevati, e i consumatori pagheranno prezzi più elevati. L’evidenza empirica sugli effetti di questo tipo di dazi mostra che il potenziale aumento dei profitti connesso all’aumento dei prezzi viene più che compensato dall’aumento dei costi di produzione, con conseguenze negative in termini di domanda di fattori produttivi, e quindi di occupazione e salari. Per un approfondimento, vi rimando a questo post sull’Illusione protezionista (poiché è più vecchio di due mesi, è accessibile solo agli abbonati: i non abbonati possono ascoltare gli stessi ragionamenti nel podcast, qui).
In altre parole, con questo e altri “accordi” Trump ha inflitto un danno colossale all’economia americana, certamente superiore a quello che sarà provocato dai dazi all’economia europea. Non c’è alcun motivo razionale per considerare questo esito una vittoria.
Perché la proposta di Meloni è sbagliata e dannosa
La presidente del consiglio, Giorgia Meloni, propone di istituire un fondo europeo per sussidiare le imprese esposte ai dazi. Anche se il pagamento dei dazi ricade per definizione sugli americani, le imprese che esportano negli Stati Uniti saranno svantaggiate, perché il prezzo al consumo dei loro prodotti salirà approssimativamente del 15%. Quindi è possibile che la domanda diminuisca – in una misura incerta, che dipenderà soprattutto dall’elasticità, cioè dalla capacità dei consumatori americani di sostituire i prodotti europei, divenuti più costosi, con prodotti americani. L’elasticità varia di prodotto in prodotto, ma secondo le stime è mediamente contenuta, proprio per mancanza di alternative.
Le imprese pertanto hanno chiesto a Meloni è di erogare aiuti di Stato tali da consentire di abbassare il prezzo dei propri prodotti del 15% e non perdere quote di mercato. In questo modo, il calo dei profitti determinato dalla diminuzione dei prezzi sarà compensato dai sussidi. I consumatori americani pagheranno il dazio, ma senza nemmeno accorgersene perché il prezzo rimarrà sostanzialmente invariato, mentre le nostre imprese continueranno a vendere come prima.
Assecondare questa richiesta sarebbe un errore grave sotto diversi aspetti. Primo: chi finanzia i sussidi alle imprese? In assenza di meccanismi specifici, la fiscalità generale. Cioè la collettività. Quindi anche e soprattutto i consumatori e i lavoratori europei, che finirebbero per pagare i dazi di Trump al posto dei consumatori e delle imprese americane.
Secondo: l’effetto dei dazi sulla domanda è incerto per tanti motivi. Può darsi che gli americani continuino ad acquistare i beni europei tassati, nonostante il prezzo più elevato. La ragione è che i beni provenienti da altri paesi sono tassati perfino più pesantemente, mentre gli Stati Uniti non sono capaci di sostituire le manifatture europee nel breve periodo. Inoltre, se i dazi provocheranno un rialzo del dollaro – come ci si potrebbe attendere nel contesto di una riduzione della domanda globale di beni europei e cinesi – l’apprezzamento della valuta statunitense potrebbe compensare interamente l’aumento del prezzo dei beni europei: quando il cambio si apprezza, la stessa quantità di dollari consente di acquistare una quantità maggiore di beni.
Terzo: le imprese dovrebbero cercare di competere sui mercati internazionali attraverso l’innovazione e la qualità, non esclusivamente abbassando i prezzi. Solo in questo modo è possibile alimentare un modello di sviluppo foriero di un aumento duraturo della ricchezza nel lungo periodo. Un sistema economico che, invece, continui a competere “al ribasso”, soltanto attraverso l’offerta di prezzi convenienti, subirà sempre la concorrenza di paesi in cui i fattori di produzione costano meno. Non tanto la Cina, che ormai è a un livello di sviluppo superiore, ma altri paesi emergenti come il Vietnam.
In questi giorni, Meloni ha difeso l’accordo siglato da Von der Leyen, mostrando di aver capito, forse, che i dazi li pagheranno soprattutto gli Stati Uniti. Ma allora, perché vuole peggiorare gli effetti dell’intesa sussidiando le imprese europee, e quindi spostando il costo dei dazi dai contribuenti americani a quelli europei?
La sensazione è che Meloni apprezzi l’accordo per le ragioni sbagliate: per fedeltà ai MAGA, e non perché persegue gli interessi dei consumatori italiani o europei, proprio come i MAGA non perseguono gli interessi dei consumatori americani.
Se la proposta di istituire un fondo per sussidiare le imprese fosse accolta, Trump otterrebbe esattamente ciò che sperava: far pagare agli europei un pezzetto dei suoi tagli alle tasse dei ricchi.
Le promesse di acquistare e investire in America
L’intesa commerciale contiene anche due promesse da parte dell’Unione Europea: investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti e acquistare 700 miliardi in prodotti energetici (in particolare di gas naturale) e armamenti nei prossimi tre anni.
Paul Krugman ha commentato così queste promesse: “Se si guarda alla sostanza, sembra proprio che l’Europa abbia fatto fesso Trump”.
La prima promessa è vuota. Gli investimenti li fanno le imprese, non le istituzioni. Come ha osservato Krugman, l’Europa non è la Cina, dove il partito ordina alle imprese come usare i propri soldi. E la Commissione Europea, che ha negoziato l’accordo, non è neanche un governo, quindi non ha alcuna autorità in materia: la promessa è una presa in giro solare, di cui Trump e Lutnick non si sono accorti. Alcuni funzionari della Commissione di fatto hanno confermato che la promessa è priva di qualsiasi valore.
Naturalmente, se le imprese riterranno utile comprare il famoso parmigiano del Nevada per venderlo in Emilia, saranno libere di farlo. Sarà poi il mercato a stabilire se sia stata una buona idea.
La promessa di aumentare le importazioni di energia dagli Stati Uniti è più specifica e accompagnata anche da un riferimento temporale (tre anni). Ma non si realizzerà, per diversi motivi. Primo: se la Commissione europea non può imporre al settore privato dove investire, figuriamoci se può imporre da chi acquistare petrolio e gas, e se acquistarlo. Secondo: il livello di importazioni di cui si parla è probabilmente impossibile dal punto di vista fisico. Come ha notato Krugman, “Il trasporto di gas naturale richiede infrastrutture specializzate su entrambe le sponde. Dal lato statunitense, i terminali operano già a piena capacità, mentre in Europa le strutture sono al limite. È impossibile che l’Europa costruisca le infrastrutture necessarie in tre anni, anche con un programma di investimenti accelerato. Terzo, e ancora più importante: perché mai qualcuno dovrebbe avviare un simile programma di investimenti in un continente che si sta rapidamente orientando verso le energie rinnovabili - che l’amministrazione Trump ha autolesionisticamente ripudiato?
Ragionando per assurdo, immaginiamo che le imprese europee vogliano mettersi ad acquistare beni alimentari dagli Stati Uniti: prodotti agricoli, di allevamento e ittici, come ha sottolineato Lutnick. Davvero gli Stati Uniti vogliono riconvertire l’economia dei servizi più avanzata del mondo in una basata su agricoltura, allevamento e manifatture? Ci tengono così tanto a perdere la loro leadership nella ricerca scientifica (settore oggetto di un durissimo attacco da parte dell’amministrazione) e nel progresso tecnologico per diventare venditori globali di tonno e bistecche?
Buona fortuna allora, e speriamo che i sostenitori nostrani di Trump – ogni riferimento a Meloni e Salvini non è puramente casuale – possano almeno godersi le famose mozzarelle dell’Oregon.
Una sfida per la coesione europea
E allora perché la Francia è così arrabbiata? Emmanuel Macron ha stigmatizzato la morbidezza dell’UE nel negoziato, mentre il primo ministro François Bayrou ha descritto l’esito del negoziato come una “sottomissione”. Da un lato, quello del presidente e del primo ministro francese sembra un gioco di posizionamento politico, legato alla semplice ricerca di consenso. Appena poche settimane prima, la Francia si è sottomessa di buon grado nell’ambito del G7, quando ha approvato l’accordo per esentare dalla tassazione locale le multinazionali americane, molto svantaggioso per l’Europa. Poiché la narrazione prevalente dell’intesa siglata da Von der Leyen e Trump è basata sugli aspetti simbolici che hanno monopolizzato i media, e poiché questi aspetti vogliono l’Europa umiliata, Macron e Bayrou prendono le distanze per non perdere consenso. Proprio come Trump cavalca la stessa narrazione per acquistare consenso.
Tuttavia, il nervosismo di Macron è legato anche alla distribuzione asimmetrica degli eventuali effetti negativi dei dazi. Non a caso, il presidente francese ha invocato l’inserimento del vino – di cui la Francia è esportatrice netta negli Stati Uniti – tra le esenzioni dai dazi, in vista dei prossimi round del negoziato. Anche la proposta di Meloni è riconducibile implicitamente a questa preoccupazione: nella sua visione, la costituzione di un fondo europeo consentirebbe di condividere il peso dei danni asimmetrici che i dazi potrebbero provocare.
Ma, di nuovo, i sussidi non sono la soluzione, sia per i problemi di efficienza ed equità che comportano, sia perché concederebbero a Trump la più facile delle vittorie. L’Europa, invece, deve perseguire nel modo più rapido ed efficace possibile due obiettivi strategici fondamentali. Il primo è raggiungere un grado di autonomia strategica dagli Stati Uniti – specie nel settore della difesa – sufficiente a trattare alla pari con l’amministrazione americana. Il secondo è eliminare le barriere interne alla libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali, per favorire la vendita dei beni colpiti dai dazi (anche) in un mercato europeo ancora troppo frammentato. Entrambi questi obiettivi implicano il rafforzamento della coesione politica.
Epilogo
L’epilogo stavolta è più breve del solito. L’Europa non ha perso e Trump non ha vinto. Ma Meloni sta provando a garantire a Trump almeno una piccola vittoria, a danno dei contribuenti italiani ed europei. L’Europa deve resistere alla tentazione di usare scorciatoie come i sussidi alle imprese e investire sulla propria stessa coesione. Solo così, in futuro, sarà possibile trattare con Trump – e altri come lui – alla pari.
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economia, modelli, mercato, finanza
Capito molto bene quello che avevo solamente intuito.
Progetto fantasioso…
Io sono 4/5 anni che vado in marzo/aprile all’estero, bassa stagione e paghi una barzelletta in confronto a questi periodi e stacchi mesi prima da lavoro (io dall’inverno non ce la faccio proprio a tirare no stop fino a luglio). Quest’anno come due anni fa sto pensando a un’altra settimana in posti caldi verso novembre, cosa che avevo apprezzato moltissimo. Nel frattempo in estate sì mi faccio le mie ferie ma resto qua in giro (da dire che comunque io sono avvantaggiato abitando in TAA).
prospetticamente le carte mostrano una potenziale tendenza verso alte potenzialità di prospettiva....
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