Questo è il punto. Sono scelte precise. Come dicevo sopra, culture emarginate perché diverse, ma che vogliono mantenere la diversità, e quindi l'emarginazione è conseguente.
La "patina" religiosa secondo me è proprio la cosa più inquietante. Al di là del credere o non credere, praticare etc., ogni individuo è cresciuto in un ambiente culturale specifico, e ad esso si collega la sua "visione del mondo" (termine molto più vasto di "religione": è in un certo senso la mentalità, il modo di porsi davanti ai problemi).
L'uomo si esprime culturalmente, cioè pensa e sceglie azioni e comunicazione in funzione di codici specifici che sono maturati nel corso di secoli - se non millenni - e che costituiscono la "cultura" di appartenenza.
Esemplifico. Anche se non credente, non praticante, anticlericale etc., sono pur sempre cresciuta entro la cultura cristiana, e tutti i miei riferimenti e modelli di comportamento e di pensiero sono radicati lì. Tranne qualcosina appreso di recente guardandomi in giro, ma che resta molto superficiale.
Esiste una minima percentuale che, per risolvere i miei problemi, prenda su e vada, che so , a fare l'eremita nel deserto o in India - alcuni lo hanno fatto, con convinzione, altri hanno seguito una moda, però percentualmente non sono tanti - molto più "normale" è che attui un qualche comportamento che abbiasenso e significato nell'ambito culturale in cui sono nata, cresciuta e vivo.
Per dire, in una situazione molto negativa, potrei decidere di entrare in chiesa e pregare, oppure di entrare in chiesa e spaccare le immagini sacre che dovrebbero proteggerci (qui esagero, però quante volte, quando succede qualcosa, anche il più ateo non dice: se dio ci fosse non permetterebbe queste cose? e si riferisce al dio della sua cultura, non a un dio altro, che so, un Osiris o un Giove pluvio).
Quindi, un giovane emarginato e disadattato, la cui emarginazione coincide pure con l'essere rimasto volutamente ancorato a lingua-costumi-tradizioni. cibi e quant'altro della sua cultura, molto probabilmente esprimerà il suo disagio con il linguaggio comportamentale che gli è proprio. Indipendentemente dall'essere credente o meno. I suoi modelli mentali sono comunque lì.
E questo è preoccupante, proprio perché sono ragazzetti senza un piano e senza reti alle spalle, al di sopra di ogni sospetto e prevedibilità.
I servizi di sicurezza seguono (si spera) i soggetti implicati in reti di relazioni a sfondo terroristico. Lo sfigato generico nemmeno credente, nessuno lo controlla. Ma la sua disperazione può esplodere comunque, in qualsiasi momento.
Quanto alle donne bruciate, vero. E' un altro discorso, ma si riconduce allo stesso concetto di sfondo culturale. L'"italiano medio" che brucia la ex perché lo ha rifiutato, fa ancora riferimento a quel retaggio culturale per cui sino a pochi decenni fa il "delitto d'onore" era un'attenuante. I meccanismi sono sempre gli stessi, l'imprinting profondo riemerge nel disagio.
Il che è interessante: vuol dire che sarà sempre così perchè in fondo ognuno di noi avrà sempre un avo che ha dato fuoco a qualcuno o c'è speranza che un giorno se ne esca? Da inguaribile ottimista dico che se ne uscirà. Magari nel momento in cui lo stalker sia trattato peggio, ovvero come merita, rispetto a chi beve un bicchiere di vino prima di guidare... Insomma se non lo impara con le buone gli entra progressivamente nei geni con le cattive.
Idem con il terrorismo, di qualsivoglia matrice sia.
Sul discorso emarginazione se ne potrebbe parlare a lungo invece.
E' vero che se uno vive in un ambiente retrogrado finirà per avere grosse probabilità di essere retrogrado. E se il substrato è malato avrà maggiori probabilità di "ammalarsi". Il che dovrebbe suggerire anche ai più duri di comprendonio che creare i ghetti è esattamente il modo per coltivare questo stato di cose e non per debellarle. Finchè i ghetti rappresentano "l'integrazione" son tranquillo che le cose non cambieranno.
Neutrofilo, normofilo, fatalistofilo: il politically correct della meteo
27/11: fuori a calci i pregiudicati. Liberazione finalmente.
Certo che se ne esce. La storia lo dimostra.
Come dici tu: noi, qualche decennio fa, abbiamo detto "basta, cambiamo". Abbiamo dato il voto alle donne; abbiamo depennato il delitto d'onore come attenuante; abbiamo autorizzato il divorzio etc. etc. etc.
Le sacche di retaggio ancestrale permangono, ma sono regredite in profondità, riaffiorano di tanto in tanto ma sono via via confinate. Abbiamo imparato a "guardarle male", a considerarle come superate.
Il punto è qui.
La nostra cultura non si pensa come "immutabile". Persino la Chiesa cattolica è mutata nel tempo, e certe cose che ammette ora, mille anni fa sarebbero state eresia.
Altre culture invece si ancorano solidamente alla tradizione, e decidono di non mutare.
La "speranza di uscirne" c'è per tutti, basta saperla accettare. Chi la rifiuta, non ne esce sicuramente.
Le nostre ave hanno lottato duramente per ottenere riconoscimenti e diritti; persino il velo, che la chiesa imponeva (e che oggi una nuova corrente dipensiero vuole farci vedere ad ogni costo come imposizione uguale a quella islamica) è stato quasi sempre aggirato, evitato, e alla fine relegato alle sole funzioni religiose (e ora nemmeno più nel matrimonio, pure in chiesa...)
In altre culture invece no; le donne accettano la loro condizione. Sarebbe da analizzare se coscientemente, o passivamente, ma questo è un altro discorso.
Insomma, se non c'è la volontà di mutare, se si nega qualsiasi possibilità di apertura, no, non se ne esce. In certi casi, l'ottimismo è una pia illusione.
Non sto parlando di "ambiente retrogrado".
Sto parlando di "ambiente culturale diverso".
Un cannibale della Papuasia, per quel che mi riguarda, ha tutti i diritti di pensare che mangiando il parente defunto ne perpetua onorevolmente la memoria. Non ci trovo nulla di "retrogrado": è il prodotto della sua cultura.
Allo stesso modo, un "ghetto" europeo di matrice cristiana sviluppa disadattamenti e "malattie" diversi da un ghetto di altra matrice.
Il punto non è l'emarginazione, bensì, a parità di emarginazione, il modello culturale di riferimento.
I modelli culturali sono diversi, è un dato di fatto, ed è ovvio che sia così, perché maturati attraverso percorsi storici diversi.
E agiscono in maniera diversa, nel bene e nel male.
I ghetti non li creiamo solamente; molto spesso si autoalimentano.
A partire dal Ghetto, emarginazione nostra della cultura ebraica, ma storicamente orgoglio di questa cultura di rimanere tale. Attenzione, non le degnerazioni dell'Età contemporanea, mi riferisco all'epoca medievale.
Analogamente, come più sopra qualcuno notava, non siamo noi, oggi, a imporre segni distintivi; sono "quelli ghettizzati" che curano di farsi distinguere, che tengono chiuse in casa le loro donne o le inviluppano al punto di far scomparire la loro individualità.
Anche volendo, se alla base c'è il rifiuto del nostro modo di essere, è difficile che si possa offrire "integrazione".
Beh sì, se l'orizzonte temporale sono i 1000 anni...
Se restano confinate senza contatti con il mondo esterno può anche essere.
Se sono a contatto con culture diverse la vedo male.
O magari no, ma finchè restano chiuse là non hanno alternative.
Ho usato volutamente quel termine. La condizione della donna in certe "culture" non è retrograda, è troglodita.
In alcuni casi, pure particolarmente in vista, anche nella nostra, ma fortunatamente non sono la maggioranza (o almeno spero...).
E' il prodotto di una minchiata epocale.
Basta una fotografia per perpetuare la memoria di qualcuno. Certo... Se non hai a disposizione una macchina fotografica...
Se il cannibale della Papuasia viene qui impara ad onorare i defunti in modo diverso in un attimo. Fermo restando che a me se uno vuol mangiare carne umana di defunto non può fregar de meno.
Esiste un modello sperimentale di "parità di emarginazione"? Io ne dubito fortemente. Dubito anche fortemente che si possa realizzare.
Visto che, nel caso specifico, si tratta di pianificazione urbana gli elementi per evitare che si autoalimentino ci sono tutti.
Basta volerlo e che tutti collaborino attivamente.
Io dico che quando si confrontano 2 modi di vivere, uno simil-medievale e uno simil-moderno, alla fine chi sceglie di aderire al secondo, in tempi più o meno lunghi, è una maggioranza schiacciante. Poi i malati di mente, religiosi o meno che siano, che preferiscono il primo ci saranno sempre.
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Stai arrivando alle mie stesse conclusioni
Qui parti però dal principio che la nostra sia la soluzione "vera" in assoluto. Noi pensiamo sia "troglodita" solo perché abbiamo maturato l'idea che uomo e donna sono uguali. Ma è una delle tante possibili idee.
Fra cento anni, probabilmente vedremo come "uguali" anche molti animali allevati, e inorridiremo a mangiarli (addio bistecca...); però sarà il prodotto di un altro stadio culturale.
In antico, anche i cristiani avevano schiavi, solo perché gli schiavi non erano visti come "uomini uguali" agli altri, quindi era normale.
Ogni cultura ha la sua elaborazioni, che gli esterni giudicano curiosa, strana, superata, troglodita, aberrante etc. a seconda dei casi.
Per noi, lo è. Per altri entra in gioco lo spirito del dfunto, le sue qualità etc. Non basta una foto.
Fino all'altro ieri anche noi mangiavamo certi cibi pensando di assumere le qualità dell'animale che li forniva.
Insomma, è ovvio che i costumi estranei al nostro modo di essere ci sembrano assurdi e immotivati.
Resta il fatto che ognuno - sino a che non rompe i cosiddetti ad altri - è libero di elaborare la propria cultura. E' sempre stato così, ed è il modello in voga. Relativismo culturale.
C'è solo da scegliere.
Pensiamo di aver raggiunto il massimo possibile della civiltà = allora andiamo a civilizzare gli altri poveretti (e ricadi in biechi scenari del passato...)
Pensiamo che ogni civiltà abbia un suo proprio valore = allora tutto deve essere tollerato.
Per me, l'equilibrio sta nel "ciascuno cuocia nel suo brodo" (eventualmente maturando e venendone fuori, ma secondo i suoi tempi e modi), ovvero a casa propria sono affari suoi, se interferisce col mio modo a casa mia, beh, allora lede il mio diritto di avere convinzioni mie.
Ti assicuro, ci lavoro da anni, e in nessun PGT ho mai visto "destinazione d'uso: ghetto", per nessuna porzione di territoriourbano o non.
Certo, si sviluppano quartieri residenziali, con più servizi, case più ampie, nuove, collegamenti etc. e questi hanno un costo di mercato superiore a quartieri preesistenti, con case più addensate, con servizi obsoleti etc.
Non ci si può fare nulla.
La conseguenza ovvia è che i nuovi arrivati, che devono comunque adattarsi a quei lavori che restano liberi e quindi hanno stipendi bassi, non riescono accedere ai quartieri più costosi, e quindi si concentrano negli altri. Il ghetto edilizio si crea perché a monte importiamo lavoratori per tipologie di lavoro di basso profilo. D'altra parte, per quelle di alto profilo, siamo già noi a esportare laureati, quindi di spazio ne resta pochino. Non è un mistero, e chi arriva dovrebbe saperlo.
Nè puoi costruire un edificio di lusso a fianco di una casa popolare. Anche non ci fosse il problema di svalutare il prezzo del "lusso", anche se tutti fossero d'accordo, l'estetica della pianificazionie urbanistica ne soffrirebbe, credo.
Sembrerebbe una cosa logica. Sempre che si riconosca la superiorità del "moderno" rispetto al proprio.
Certo, se del moderno riesco ad avere igiene urbana, cure mediche, lavoro e beni di consumo, poi posso benissimo lasciar perdere di abbracciare il resto, e tenermi l'harem segregato, così non rischio nemmeno che si modernizzi troppo.
Insomma, un conto è la cultura materiale, che sembra ovvio che noi si sta meglio che nel medioevo, e un'altro il modello sociale e psicologico che gli si cuce sopra.
Eh sì. Ho la pretesa che non fare distinzioni tra essere umani in base al ***** sia la soluzione corretta nel trattare le e con le persone.
In realtà le soluzioni sono tutte "vere", ma di sicuro non sono tutte "migliori".
Se però qualcuno è in grado, scienza alla mano, di dimostrare che le donne debbano essere discriminate son pronto a cambiare idea.![]()
Se però lo fa sulla base di un qualsivoglia testo sacro o congiunzione astrale può andarsene bellamente ci siam capiti dove...
Dio non voglia (mi tocca di attaccarmi al sacro).
Questo lo considero un bell'esempio di ossimoro: nel momento il cui il massimo della civiltà si traduce nel "civilizzare i più deboli" da quel massimo siamo ancora piuttosto lontani. Mi sembra più un approccio da coloni.
Ma non ho alcun dubbio che non esista un ghetto de iure (anche perchè dubito sarebbe costituzionale...).
Da noi come in tanti altri posti.
Il problema sono i ghetti de facto.
Quello che scrivi sui lavori qualificati (e non) e relativi stipendi è sicuramente vero. Il non tentare di governare questa cosa però è un approccio un po' troppo "naturale".Se non fai nulla per porre qualche ostacolo inevitabilmente va così.
Mi rendo conto che potrebbero esserci altri "problemi"; sicuramente il quartiere fatto solo di poveri e/o disoccupati è sgradito. Proviamo a proporre la costruzione di qualche casa popolare nei quartieri fighi e vediamo che succede allora...
Ah... Dici che non si può? Dici che il problema dell'estetica delle costruzioni è da privilegiare rispetto all'integrazione sociale?
Si riconosce superiore da solo, basta aver pazienza.
Se riesci a tenere l'harem talmente segregato da non aver contatti con il moderno in cui vivi i miei complimenti!![]()
Caso da studiare, potrebbe venir buono.
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Neutrofilo, normofilo, fatalistofilo: il politically correct della meteo
27/11: fuori a calci i pregiudicati. Liberazione finalmente.
Non c'è "scienza" e non c'è "dimostrazione".
Ci sono "visioni del mondo" a confronto.
E' qui che io dico che si può arrivare al paradosso: considerare tutte le culture uguali e di pari diritto (e quindi anche accettare che in altri mondi ci siano diversità tra uomini, ad esempio, o altre cose per noi aberranti), oppure ammettere con serenità che esistono culture "più evolute" e quindi verso i quali traguardi è fisiologico che tutti tendano (ma da qui a pensare di accelerare la tendenza, sino a portare direttamente la civiltà, il passo è breve e il rischio alto).
Ci muoviamo fra questi due estremi possibili, ed entro essi dobbiamo trovare un equilibrio.
Vedi? è tutto relativo... di fronte alla perdita della bistecca, riscopri anche tu antichi valori, dai quali ti professavi razionalmente libero!
Infatti. Vedi sopra. E' qui il paradosso davanti al quale nulla è più ovvio e scontato, ma occorre ragionare e soppesare, per individuare la via di equilibrio. E' il punto di crisi, quello che ci obbliga a pensare.
Nel momento in cui nella mia tolleranza accetto il comportamento di un intollerante, va bene /non va bene? tollerare gli intolleranti, o venir meno alla tolleranza, per difenderla eliminando gli intolleranti?
Al mio paese ci hanno provato. C'è stata una specie di rivolta degli abitanti, poi hanno dovuto digerire la cosa. Qualcuno se ne è andato subito, prima che fosse troppo tardi. Altri che successivamente hanno dovuto vendere perché trasferiti altrove, hanno trovato i prezzi crollati, e da una casa pagata un botto si sono trovati con in mano una casa nella media.
Crollano i prezzi e la richiesta: questo succede. Intanto gli edifici sono già più vecchiotti e meno dotati, quindi il loro valore diminuisce di anno in anno già fisiologicamente. Prima o poi divengono abbordabili per la fascia emergente dei "popolari", che intanto si è formata, e che quando può compra nelle ex-case degli sciuri, ormai superate... alla fine, si riproduce il quartiere popolare.
A parte questo, nelle zone residenziali il terreno costa in partenza molto di più, quindi non è facile farci su case popolari... a meno che non si voglia farsi del male...
Non lo dico io. Lo dicono gli architetti, credo...
D'altra parte, puoi anche fare una casa di buona estetica ma in edilizia popolare; quello che cambia, sempre per problema di costi, è lo spazio attorno. Case con grande giardino (terreno, piante, giardiniere, bambini che possono andare a fare sport/attività anziché devastare i lprato etc.), accanto a esteticamente validi palazzoni senza giardino (no spese per terreno vuoto, no manutenzione, ragazzini che giocano in strada, ragazzini che invadono i giardini "riservati ai condomini" dei palazzi "bene" etc.). Sin dalla base, delinei comunque la non integrazione. Perché, seguendo l'educazione ricevuta, i bambini sono i primi a discriminare, a partire da "io ce l'ho firmato, tu non vali un c...".
ma puoi anche tenerlo a contatto, dipende quanta paura gli incuti. Le donne che non possono uscire sul balcone, quelle che possono girare solo velate, quelle che non possono imparare la lingua, e non possono parlare con gli altri, quelle che girano in due o più al seguito di un solo uomo con bambini in proporzione... insomma, io ne vedo tante in giro. Troppe, anche fossero solo il 0,000000001 % per un paese la cui Costituzione dichiara pari diritti per tutti.
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