povertà e disoccupazione SONO un problema anche di sicurezza... i motivi li ho scritti... un paese deve crescere, non regredire, e per farlo non ha certo bisogno di questo...
ma... insomma: se uno ti entra in casa e ti punta un coltello che fai ?? Ad un certo punto la gente ha paura ed ha tutti ll sacrosanto diritto di chiedere di difendersi (legittima difesa)... bando ai discorsi filosofici detti da chi non vive vicino alle baraccopoli...
mi auguro non capiti mai a chi la pensa come te di avere a che fare con delinquenti o vari... perchè parlare da tavolino è facile... ma quando i fatti da me esposti si mettono in pratica è altra musica
Ultima modifica di meteopalio; 07/11/2007 alle 21:51
allora: vicino casa mia è ospitata una comunità di rumeni che sono stati mandati via da altre aprti perchè hanno toccato macchine e commesso piccoli furti... ora la palla è toccata a noi...
io ho paura... ma ho ancor più paura che qualche idiota organizzi spedizioni punitive, perchè poi questi ti si ritorcono contro...
se li mandassero via da quì il problema non ci sarebbe: io non verrei derubato... loro non si prenderebbero un sacco di botte...
1)nelle baraccopoli ci lavoro:sto da 2 mesi in Emila,per progetti nei campi rom
2)con i detenuti e delinquenti ci ho già avuto a che fare,ho fatto anche volontario nelle carceri. e ci spero anche di lavorarci,come educatore
3) mi occupo anche di minori a rischio,o meglio ragazzi difficili
non sto qui a dirti,nuovamente che ciò che per te è ovvio e scontato,per me non lo è mai
ho imparato ad ascoltare e vedere nelle storie delle persone,e a non giudicare.
al momento so di essere protetto,perchè le mie idee sono della nostra Costituzione e delle nostre leggi
sono tante le cose che si possono fare:prevenzione individuale,sociale,situazionale prima del reato;trattamento rieducativo,riabilitazione,mediazione dopo il reato.
Ma la dismissione del welfare ha reso le risorse limitate,e la repressione appare come la soluzione immediata.
Ultima modifica di beniamino; 07/11/2007 alle 22:51
mettiamola cosi',in un paese che si e' dato una certa organizzazione politico-economica non esiste che faccia quello che chiedi tu-
lo capisci che un paese come il nostro ha bisogno come il pane di sotto-proletari?
senza non potrebbe vivere,ha bisogno di manodopera a costo quasi zero,da far vivere nel terro,da farli vivere da discriminati-
senza immigrati,il nostro costo del lavoro lieviterebbe,si dovrebbe tornare ai tempi(belli) in cui il precariato non esisteva,ai tempi in cui si facevano scioperi generali per solidarieta' a categorie di lavoratori in attesa del rinnovo del contratto etcetc
senza sfruttamento non esistiamo-
l'italia ha 60,000,000 di abitanti,elencare le porcherie che ci sono per strada non e' il modo migliore per affrontare il problema-
questi sono fenomeni sociologi e geopolitici,sono organizzati in scala planetaria e te mi vieni a raccontare cosa succede vicino a casa tua,lo sappiamo cosa provoca il degrado e la poverta',sono cose ovvie,il punto da capire e' come si creano queste situazioni,chi ha interessi e chi ci rimette-
non bisogna temere di riconoscere che la gran parte dei lavoratori e dei giovani proletari di casa nostra sente e vive ogni giorno la presenza dell'immigrazione come un elemento di concorrenza al ribasso sia sul piano del salario e dei servizi che su quello dei diritti.
e che sono usati come arma di ricatto contro gli italiani.
questa è l'unica realtà dei fatti che ,per me,non può essere negata.
ma è anche innegabile che nessuna legislazione,dura o morbida,nessun controllo,nessuna barriera,potranno mai impedire che chi ha fame nellle sue terre devastate,giunga qui con tutti i mezzi possibili.
nel sistema capitalista i movimenti migratori non sono nè arrestabili,nè regolabili.
ecco perchè credo che questa realtà da fattore di debolezza e concorrenza,pùò diventare fattore di nuova forza e compattezza per la classe lavoratrice italiana solo con una solidarietà,integrazione,organizzazione comune con i lavoratori immigrati.
queste sono le regole,che secondo me,bisogna perseguire,le uniche che possono arginanere tutte le spirali al ribasso.
Sentivo oggi, casualmente, alla radio un imprenditore italiano che ha deciso di investire in Romania alcuni anni fa. Allora i salari erano minimi e la manodopera abbondante. Oggi i salari (confrontati coi nostri) sono bassi, ma non minimi. E la manodopera da abbondante s'è rarefatta perchè molti dei suoi operai hanno deciso di venire a lavorare nel più ricco occidente. Conclusione: d'accordo col governo rumeno, questo imprenditore ha deciso di importare (è il termine da lui usato) manodopera dal Bangladesh per le sue fabbriche in Romania. Effetti buffi della globalizzazione: dal Bangladesh partono per andare a sostituire i rumeni che sostituiscono gli italiani in fabbriche italiane.
Caro Pio e caro Beniamino, non credo che la cosa finirà come auspicate. Mi permettete una digressione? Parliamo di urbanistica. Nell'impero romano, qui a Roma, non c'era una divisione tra quartieri ricchi e quartieri poveri. Ma c'era un divisione verticale. Nel senso, cioè, che in un dato stabile al piano terra abitavano i ricchi. Man mano che si saliva (e gli appartamenti diventavano, tra l'altro, più insicuri a causa degli incendi) ci trovavi i poveri. Sino ad arrivare, all'ultimo piano, ai miserabili. Senz'acqua, con le scale da fare, in pericolo costante. Però erano non solo nello stesso quartiere, ma anche nello stesso palazzo dei ricchi (o, almeno, dei gran benestanti: i ricconi fuori scala si facevano le villone autonome).
Questa divisione la si trova ancora in certi palazzoni della Torino o Milano ottocentesca. I benestanti al piano nobile, i meno benestanti (persino i poveri) negli appartamenti superiori (sino agli abbaini) o, all'interno dei cortili, nelle case di ringhiera. C'era, insomma, in 100 metri quadri, uno spaccato sociale.
Poi, e qui ci vorrebbe un esperto per dire come e quando cominciò, la divisione non divenne verticale, ma orizzontale. Esistevano quartieri bene (generalmente i centrali o quelli delle migliori colline) e quartieri operai. Eravamo alla fine dell'ottocento, all'inizio del novecento. Una divisione orizzontale, non verticale. Non in 100 metri quadri, ma in zone diverse della città.
In questo schema noi abbiamo vissuto per decenni, non solo per i quartieri, ma per i Paesi e le nazioni. C'erano paesi bene (Europa, USA e qualcun'altro) e paesi poveri. Partivamo quindi dal presupposto che chiunque risiedesse in un paese bene (come l'Italia) come minimo non dovesse morire di fame. Forse, intorno agli anni '80, questo risultato fu raggiunto: allora, qui in Italia, nonostante le differenze, nessuno (o quasi) moriva di fame.
Ma poi è venuta la globalizzazione. E ha riportato a galla il modello verticale, o brasiliano: accanto alle favelas, nella stessa città, ci sono i nababbi.
Ecco perché temo che vi illudiate. Il sistema oggi va in un'altra direzione: vale a dire nel far convivere, in 100 metri quadri (cioè in Italia) sia il poverissimo che il ricchissimo. Non credo che ci sarà una qualche ribellione della classe lavoratrice italiana. Temo, invece, che dovremo sempre di più abituarci all'idea (eresia per quelli della mia generazione!) che qui, nel nostro Paese, in Europa occidentale, ci siano i veramente poveri. Quelli che fino a 20 anni fa erano lontani, in Asia o in Africa, ora stanno qua. Se non al piano di sopra, forse a 300 metri di distanza.
Non credo quindi, caro Beniamino, che ci saranno movimenti che freneranno le spinte al ribasso. Non ci sarà un movimento orizzontale che imponga, per tutti coloro che vivono in Italia, un trattamento minimo dignitoso. Credo invece, che conviveremo sempre di più con diseguaglianze che qui, a casa nostra, si inaspriranno. Temo. E Dio sa quanto vorrei sbagliarmi.
Maurizio
Rome, Italy
41:53:22N, 12:29:53E
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