
Originariamente Scritto da
ilbonardi
Il lungo Duecento dei ghiacciai alpini
Come abbiamo visto, le posizioni raggiunte dai ghiacciai alpini nell’ultima parte del XIII secolo rendono incompatibile, anche per i decenni immediatamente precedenti, ogni ipotesi di equivalenza con l’attuale stato del glacialismo alpino. Per trovare qualcosa di paragonabile alla situazione del 1270 ca. è probabilmente necessario spingersi nel bel mezzo della PEG: ad esempio, nella seconda metà del Settecento o nei decenni che ne precedettero l’acme di inizio Seicento o, anche, al periodo a cavallo tra XIX e XX secolo (per intenderci, fasi non certo di massima ma, in quanto a espansione delle masse glaciali, incomparabilmente più favorevoli degli attuali).
Altresì, ho ipotizzato che quelle posizioni, obbligate per spiegare le punte del Rutor (1284) e dell’Allalin (1300), fossero a loro volta il frutto di uno stato favorevole (inteso come decisamente migliore dell’attuale) di lungo periodo, ossia esteso anche alla prima metà del secolo (1). Beninteso, “migliore” non significa di “costante avanzata”…
Quali furono dunque i caratteri climatici prevalenti nella prima metà del Duecento? E a quali condizioni essi spiegano gli eventi glaciologici di alcuni decenni più tardi?
La questione è tutt’altro che semplice, data la difficoltà ad inserire in quadri omogenei ciò che, per l’appunto, omogeneo non fu. L’intervallo che va all’incirca dal 1210 al 1250 è costellato di continue alternanze tra brevi fasi (o semplicemente annate) fredde ed altrettanto brevi periodi caldi; tra eventi favorevoli ed altri sfavorevoli al glacialismo alpino. Tra questi ultimi, la prevalenza di estati calde, in particolare attorno a metà secolo, pur senza quelle punte estreme che conosciamo oggi o che, per un periodo più breve, interessarono la fase 1279-86. Interessanti, inoltre, i caratteri decisamente estivi che, in molti casi, ebbe ad assumere il mese di settembre.
Per contro, sparpagliati tra i primi anni del secolo e il 1240, diversi inverni “glaciali” (gli esempi più grandiosi sono quelli del 1216 e del 1234) “assaltano” Alpi e Pianura Padana (non sempre contemporaneamente), ma in ogni caso con ben pochi esiti in termini glaciologici, se non quando accompagnati da prolungate fasi siccitose.
Il vero marchio al periodo, con non irrilevanti conseguenze sui ghiacciai, proviene però a mio avviso dalla notevole (notevolissima a tratti) piovosità (concentrata) delle stagioni autunnali. In questi anni, forti precipitazioni (e conseguenti eventi alluvionali) tra settembre e novembre si traducono in qualche caso in accumuli nevosi abbondanti (…. sopra a tutti, almeno per quanto riguarda Alpi centrali e orientali), ma, più spesso, per quanto difficile da quantificare, in una significativa “erosione” delle superfici glaciali: è l’evenienza che, con buona probabilità, si verificò ripetutamente nel 1220, 1230, 1239 e 1249. Altrove avevo già presentato un’ipotesi analoga come possibile spiegazione (concausa) della contrazione dei ghiacciai nel periodo 1855-1885.
Da un punto di vista climatico il periodo si sintetizza dunque nella forte variabilità interannuale, nella debole estremizzazione termica e in quella, altrettanto esile, dei caratteri pluvio-nivometrici invernali, soprattutto in paragone agli ultimi decenni del XIII secolo.
Complessivamente, l’andamento climatico della prima metà del Duecento manifestò poi caratteri moderatamente sfavorevoli al glacialismo alpino. Complici i ripetuti eventi alluvionali che interessarono la stagione autunnale (accompagnati da temperature elevate), le masse glaciali raggiunsero probabilmente in questa fase le loro dimensioni minime di tutto il Basso Medioevo.
Anche nel momento peggiore (probabilmente attorno alla metà del secolo), però, i ghiacciai alpini si mantennero ben lontani dalle posizioni di minimo attuale (e per quanto abbiamo visto sino a oggi e per quanto avremo modo di vedere nella prossime puntate).
Prima del successivo salto indietro, sarà però necessario soffermarci ancora un poco sui ghiacciai di inizio secolo. Il lungo Duecento dei ghiacciai alpini, infatti, non è ancora terminato…
---continua---
(1) In alternativa dobbiamo “immaginare l'inimmaginabile”, con il ghiacciaio che percorre almeno un chilometro e mezzo in circa tre decenni, pari a un trend medio di avanzata di ca. 45-50 m/n, senza rallentamenti e senza interruzioni: il che, anche volendo, non sarebbe compatibile con le condizioni climatiche del periodo 1250-1284 (tanto più che in tale intervallo si inserisce la fase decisamente negativa post-1279 che, a margine, porta a considerare che nel 1284 il Rutor fosse probabilmente in fase di ritiro).
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