Vedo solo ora la discussione. Nella mappa postata nel primo messaggio si vede la cartina dettagliata dei dialetti pugliesi, che in effetti sono molto vari (no, nessun pugliese parla come Lino Banfi). Il fasanese fa parte del gruppo barese, ma si discosta parecchio anche dalle vicine Monopoli e Ostuni, così come ci sono differenze all’interno della stessa Fasano fra il centro e Montalbano (frazione a sud di Fasano).
Di parlare capita di parlarlo in famiglia, oppure quando spesso mi altero vien fuori di tutto in dialetto, ma altrove parlo solo italiano. Amo i dialetti, ma l’italiano resta per me fondamentale. La cosa che invece non amo sono le cadenze, in alcuni dialetti sono decisamente marcate quando il soggetto in questione parla poi italiano.
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I problemi del romancio sono secondo me oltre al fatto di essere una piccolissima minoranza, putroppo anche in declino, la presenza di numerose varietà su un'area linguistica frammentaria perché all'interno dell'area romancia capitano spesso isole di singoli comuni dove vige il tedesco (e dialetti affini Bündnerdütsch o Walserdütsch) perché non si parla più il romancio o per motivi storici non lo si è mai parlato (esempio Tarasp storicamente fino al 1800 era praticamente un enclave austriaca).
Ci sono vallate dove tutti i comuni sono omogeneamente romanci, però in quella situazione si è per forza obbligati ad usare un'altra lingua ufficiale che non sia così di nicchia, e tale lingua è praticamente sempre il tedesco visto che si confina con la zona germanofona dei Grigioni. Sono anche realtà piccole e per motivi di lavoro spesso i giovani "emigrano" in altre zone della Svizzera perdendo quindi l'uso del romancio.
Ho trovato questa frase di un giurista che fa il caso: «Ogni romancio è al contempo anche uno svizzero tedesco»
Da notare inoltre che rispetto 150 anni fa (indipendentemente dalla definizione di ufficialità linguistica del comune) in molti comuni dei Grigioni il Romancio non è più la lingua principale della maggioranza della popolazione, tra i quali si citano anche numerosi comuni engadinesi.
Li vicino c'era poi il caso di Bivio che era un enclave italofona dove l'italiano era la lingua ufficiale, l'unico comune nordalpino oltre Livigno, ma anche lì nel corso del secolo scorso si è imposto il tedesco. Bivio di fatto è sempre stato trilingue, ma adesso potrebbe facilmente diventare unicamente tedesco (inoltre il comune è anche stato soppresso).
In realtà sarebbe riduttivo parlare solo di italiano-romancio-tedesco nei Grigioni, queste 3 semmai sono lingue scritte od ufficiali visto che ad esempio a Bivio, comune di circa 200 abitanti decenni fa si potevano tranquillamente distinguere 7 idiomi: tedesco scritto e tedesco grigionese, italiano e bargajot (dialetto lombardo), il romancio nelle varieta Surmirano e Putér. C'era inoltre un "romancio di Bivio" che è un misto dei gruppi dell'italiano e romancio.
Ultima modifica di AbeteBianco; 14/01/2023 alle 15:05
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Questo è verissimo
Ed è strabiliante pensare che nel 1861, quando l'Italia "nacque" meno del 10% della popolazione sapeva parlare italiano
Ma la cosa non mi stupisce, sinceramente. Vedendo anche solo in famiglia e da quello che ricordo i miei nonni sapevano parlare sia italiano sia dialetto (ed utilizzavano entrambi), ma i miei bisnonni non li ho mai e poi mai sentiti parlare in italiano, credo che ne conoscessero appena le basi "scolastiche", ma di fatto non lo utilizzavano e per loro è stata una lingua "straniera" da utilizzare solo per comunicare con qualche non-piemontese (erano nati grosso modo tra il 1905 e il 1925).
Lou soulei nais per tuchi
Il pugliese di Lino Banfi è molto caricaturale, ma se non parlasse in quel modo non avrebbe avuto tutto il successo che ha avuto.
Lui comunque ingigantisce dei fenomeni linguistici che sono diffusi nella Puglia centrale.
Ad esempio a Bari e dintorni la frase "sono andato" viene pronunciata tipo "sono andæto", un misto tra una "a" ed una "e" nasale. Ma nulla a che fare con il "sono andèèto" di Lino Banfi, che ricalcando questa pronuncia in maniera esasperata ha creato il suo personaggio.
I miei nonni paterni non li ho mai sentiti parlare in italiano. L'hanno studiato a scuola (quei pochi anni di istruzione che hanno avuto) e ovviamente lo capiscono, ma effettivamente ci ho fatto caso solo ora leggendo il tuo commento. Anche nelle occasioni in cui l'interlocutore parla in italiano (esempio comune, poste, negozi, e via dicendo, essendo un piccolo paese di collina la cosa si fa comunque molto diversa rispetto ad una città) comunque parlano in dialetto.
Aggiungo anche una cosa curiosa. Ho verificato in prima persona l'evoluzione del dialetto negli ultimi 50-60 anni circa, nelle occasioni in cui venivano i parenti dalla Francia o dal Canada. Non parlano l'italiano ma il dialetto sì, ma essendo emigrati da molto tempo si tratta del dialetto di 50, 60 anni fa. Per nulla italianizzato, con espressioni o parole arcaiche cadute in disuso qui (es. Sculièr per cucchiaio, oggi si usa guciaro), in generale molto più vicino al bellunese rispetto a quello attuale.
Oddio, forse esageri. Ho letto una cronaca settecentesca della città di Brindisi, prima dunque di Manzoni, e i preti che la scrissero parlavano in italiano, non in dialetto locale, ed era un italiano totalmente intelligibile anche per me del 2020. Non sto parlando di letterati, ma di parroci locali di un paesino all'epoca insignificante del Sud Italia.
Non direi sia una lingua artificiale costruita dal Manzoni, ma che fosse già in uso come lingua dei documenti su tutto il territorio, e che semmai Manzoni abbia ufficializzato una delle sue versioni comunque abbastanza diffusa.
I preti scrivevano in italiano alcuni testi, in genere quelli di materia cronachistica, perché per quella ecclesiastica hanno usato il latino fin'oltre la metà del secolo scorso e per certi usi ufficiali lo usano tutt'ora. Comunque sicuramente quei preti l'italiano lo conoscevano e potevano parlarlo (anche se non è detto che avessero una buona padronanza della lingua parlata), come buona parte delle persone istruite. Quei preti l'italiano l'avevano studiato ma è altamente improbabile che lo usassero nella vita comune, come del resto non usavano il latino nella vita di tutti i giorni ma solo per cose connesse al culto.
L'italiano diventa lingua ufficiale o comunque ufficiosa in gran parte del territorio nazionale tra 1400 e 1600, quando si affianca o si sostituisce al latino negli atti amministrativi delle autorità civili. In quei due secoli anche la Repubblica di Genova e la Repubblica veneta cominciarono a redigere in italiano gli atti amministrativi, ma ci sono prove abbastanza consistenti che durante le sedute del Senato veneziano e dei due consigli genovesi si usasse solo la lingua locale fino a tutto il '700.
Tra l'altro è vero che Manzoni non ha inventato l'italiano come lingua in sé (che è una forma "colta" del dialetto fiorentino, codificata nel Rinascimento da Bembo e altri) ma di fatto ha inventato l'italiano modeno, perché l'italiano precedente (e perfino contemporaneo) di Manzoni è sostanzialmente quello cinquecentesco di Pietro Bembo e in gran parte ancora quello di Petrarca. Di tutto possono essere accusati Petrarca (oltretutto aretino di nascita ma fiorentino di "madrelingua") e Bembo (veneziano trapiantato a Roma e primo "codificatore" della lingua italiana a livello grammaticale), tranne di scrivere "male" in italiano, solo che il loro è un italiano molto diverso da quello di Manzoni, che quantomeno è riuscito a ricreare una lingua "viva", cosa che nessuno prima di lui aveva provato a fare...
Scrivere in italiano e parlare l'italiano oltretutto sono due operazioni diverse (anche se l'italiano ha la fortuna di essere una delle pochissime lingue in cui tra pronuncia fonologica e pronuncia alfabetica si ha una buona/ottima concordanza) e in generale parlare una lingua e scriverla mette in gioco abilità cognitive e neuro-linguistiche solo in parte coincidenti (lo sanno bene gli inglesi e gli scandinavi), ad esempio io scrivo correntemente sia in inglese sia in francese e riesco a seguire senza grossi problemi conversazioni in queste lingue ma sono un locutore men che mediocre di tutte e due...
Ci sono diverse ragioni per spiegare il successo dell'italiano come lingua culturale e amministrativa, alcune sono schiettamente linguistiche (ad esempio l'italiano può essere scritto con l'alfabeto latino senza particolari adattamenti), altre "politico-ideologiche" (il desiderio crescente da parte di alcuni ambienti politici e intellettuali di arrivare a un'unificazione politica dell'Italia in uno stato nazionale, sul modello francese o spagnolo) ma direi che le principali del successo dell'italiano sono due e sono prettamente sociologiche: la prima è il prestigio letterario che ne aveva fatto una lingua di koiné per i letterati dei vari stati disseminati sul versante interno delle Alpi e nella Penisola, la seconda ragione è che l'italiano-fiorentino era diventato la lingua del commercio e delle transazioni economiche tra la fine del '300 e il '400 (Firenze e Genova si contendono la primazia bancaria a livello europeo, ma Firenze a livello peninsulare è più influente per i solidi legami dei fiorentini con lo Stato della Chiesa e con la curia romana). Perfino a Malta, che è estranea al continuum linguistico italiano e indoeuropeo (il maltese è fondamentalmente un dialetto arabo) si utilizzò l'italiano nella maggior parte degli atti ufficiali a partire dall'inizio del '500 e l'italiano vi rimase lingua ufficiale fino al 1934 quando fu sostituito dal maltese, mantenendo il bilinguismo, dal momento che l'inglese era diventato ufficiale dopo il 1814.
Il Ducato di Savoia fa parziale eccezione a quanto scritto sopra, perché estendendosi in gran parte al di là delle Alpi in quello che oggi è territorio francese, era in strettissimi rapporti economici sia con altri stati della Penisola sia col Regno di Francia e col Ducato (francofono) di Borgogna, quindi i Savoia alternarono francese e italiano nella redazione dei documenti ufficiali. A un certo punto, sostanzialmente col trasferimento della capitale da Chambery a Torino, nella capitale sabauda i ceti aristocratici finirono con l'usare più il francese dell'italiano o del torinese, che rimase invece relegato all'ambito privato (il torinese era usato ancora in molti ambienti della corte 30 anni dopo il trasferimento a Roma della capitale del Regno d'Italia).
In molti casi non si può nemmeno parlare di ufficialità vera e propria, venivano usate lingue che erano comprese in territori abbastanza vasti dagli utenti o dai lettori a cui ci si rivolgeva (che fossero funzionari amministrativi, mercanti o letterati), ma questi destinatari erano una parte esigua della popolazione, più o meno coloro che sapevano leggere e scrivere (<1% della popolazione italiana del XVI secolo). L'italiano alla fine del XV secolo era conosciuto dalla totalità delle persone istruite che vivevano sull'attuale territorio nazionale ed era abbastanza conosciuto anche dai ceti intellettuali di altri stati (ad esempio nella Francia rinascimentale e soprendentemente nell'Inghilterra elisabettiana).
Invece su quanto l'italiano fosse conosciuto a livello di popolazione italiana quando fu proclamato il Regno d'Italia (marzo 1861) ci sono stime abbastanza accurate che vanno da un 2,5% della popolazione della valutazione pù pessimistica di De Mauro a un 10% di quella "ottimistica" di Castellani.
Ultima modifica di galinsog@; 19/01/2023 alle 12:44
Tutto giusto ovviamente, ho voluto solo puntualizzare circa il fatto che l'italiano esisteva, in una forma già intelligibile all'epoca persino per noi moderni, anche prima di Manzoni, è che dunque egli abbia soltanto standardizzato l'italiano, al massimo, tramite il suo romanzo. Tra l'altro Manzoni era così esperto che simulò anche l'italiano del Seicento se non ricordo male all'interno dei Promessi Sposi, che lui rendeva come la storia trascritta da un manoscritto del Seicento da egli ritrovato.
Ho visto solo adesso la discussione.
Io sono di un paese del Lazio interno ai confini con la Campania.
Il dialetto storico è un "casertano a vocali piene" con la presenza al suo interno di alcuni elementi del dialetto ciociaro, abruzzese e anche del romanesco.
I giovani parlano soprattutto italiano, ma a volte usano anche il dialetto e anche in maniera "tosta" anche se con termini modificati e con qualche parola napoletana o romana in più, anche se alla fine è quasi simile a come parlavamo noi (io ho 51 anni).
La zona poi è a forte immigrazione napoletana, forse perché la zona di Napoli è invivibile per questioni varie (caos, ecc, che poi è tipica di molte periferie cittadine).
Si possono quindi trovare persone che parlano italiano con accento locale, italiano con accento quasi romano (come il sottoscritto, che ha vissuto però in Toscana e a Roma), italiano con accento napoletano, dialetto in forma pura o "mista", ma alla fine in linea di massima il dialetto locale per chi è nato qui si è abbastanza "conservato".
Facendo qualche esempio per mostrare il miscuglio linguistico, posso dire che ci sono termini campani tipo "ngoppa" (sopra), "vajone o vajola" (ragazzo e ragazza), accà (qui, che però diventa accane nel linguaggio più lento) o altri simili al napoletano che però vengono appena modificati.
Rimandano all'Italia mediana o comunque al ciociaro e abruzzese termini come "Bia" (solo), vedemo (vediamo), damo (diamo) glio (il) ecc.. essoglio (eccolo che arriva)
Il Ponte del Garigliano detto in alcuni dialetti
Glio' ponte dé glio' Garigliano (al mio paese)
Gliù ponte dé gliù Garigliano (a quello vicino, più verso il mare e anche in altri due comuni costieri)
Ro ponte re ro Garigliano (Casertano nord)
O pont d'ò Gariglian' (napoletano)
Chi sente parlare noi ed è romano tende a dire che siamo mezzi napoletani o al massimo casertani, ma i napoletani e casertani dicono che siamo mezzi laziali.
Però come dicevo anche qualche mio coetaneo tende a romanizzare o napoletanizzare alcune parole, pur se la base dialettale è comunque quella storica.
Al momento i "trasferimenti" dei campani non hanno modificato troppo, come non sono riusciti a modificare più di tanto i dialetti di Formia e Gaeta, che tra l'altro sembrano più meridionali di quello parlato al mio paese (se confrontiamo i vari termini e i vari paesi del Golfo di Gaeta e della zona di Cassino).
A 46 km da casa mia (Ceprano, provincia di Frosinone) inizia il ciociaro stretto, ma a 46 km iniziava lo stato Pontificio, che invece sul lato mare iniziava a 49 km, dopo il comune di Monte San Biagio (Latina) che una volta era del Regno di Napoli ed era provincia di Caserta fino al 1927.
Addo' arrivamo, mettemo glio' pezzùco
Luccicantella calla calla, mitti fuoco alla cavalla, la cavalla dé glio' ré, luccicantella mmàni a mmé!!
Ne prendo atto.
Si parlava di vocali aperte o chiuse.
In Italiano non ci sono parole che acquistino significati diversi in base a ciò, a parte un'unica eccezione, che come tale conferma la regola: pesca.
Aprendo o chiudendo le vocali o sbagliando gli accenti non c'è modo di non capirsi.
Questo mi sembra un tratto di superiorità della lingua rispetto ai dialetti, dove invece detti dettagli risultano determinanti per la comprensione.
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