ERBA (Como)—Uno, due, tre. Azouz Marzouk conta con voce calma, senza cambiare mai l'espressione del viso. «Tre volte, almeno tre volte». Il padre di Youssef riesce a non perdere la calma, soltanto una ruga sulla fronte quando ricorda le volte in cui Olindo Romano e sua moglie Rosa gli urlarono una frase, sempre quella: «Guarda che io vi ammazzo tutti, tunisino di m…». Nella casa dei tunisini, in cima all'ultima salita di Merone, stanno preparando il funerale. I bagagli sono quasi pronti, Azouz accompagnerà in Tunisia sua moglie e il figlio Youssef, che aveva solo due anni. Ma adesso che ogni finzione è crollata, cade anche la maschera di distacco che il presunto colpevole della prima ora aveva indossato in questi giorni. Gli occhiali neri
li tiene sul naso, a coprire gli occhi, ma poi se
li toglie. Fa freddo, sul pianerottolo, e Azouz si stringe nel suo giubbotto di pelle marrone. «Come potevo prenderlo sul serio? Come potevo pensare che l'avrebbero fatto? Io e Raffaella gli rispondevamo, certo. Loro insultavano, noi sfottevamo, era il modo per fargli capire che non avevamo paura di loro».
I suoi amici gli battono le mani sulle spalle, vieni dentro, Azouz, smettila di parlare. Lui continua a fare «tre» con le dita, tre volte negli ultimi mesi e chissà quante ce n'erano state prima. Quando si toglie gli occhiali, la luce del neon mostra occhi che sono diventati due fessure, e questa volta non è l'assenza di sonno. E' un odio liberatorio, come se le notizie che arrivano dalla televisione fossero il segnale di via libera, anche Azouz il tunisino si mostra per quello che è. «Non sono un uomo di pace», è la sua premessa, quasi a scusarsi di quello che sta per dire. «Adesso voglio essere arrestato. Ci penso io. Vado a cercarli e
li strangolo». Calmati, Azouz, lascia stare, gli intima uno dei suoi tanti cugini. Ma almeno per una volta, il tunisino non si ferma, non comprime i suoi veri sentimenti. Quando è tornato in Italia, i carabinieri gli hanno chiesto chi fossero le persone che potevano odiarlo così tanto.
Lui fece tre nomi, il primo era quello dei coniugi Romano. «Mi sento il veleno addosso. Sentivo che erano stati loro, e adesso lo so. Spero che queste persone se la passino male in carcere, spero che la loro detenzione sia lunga e dolorosa». E' un mantra di odio, ripetuto con la solita cadenza, voce piana, bassa, anche se esprime concetti terribili. «La vendetta è un dovere, dalle mie parti. E credo di averne diritto». La recita che si imposto è finita. Non è un uomo di pace, Azouz. E' il capo dei tunisini di Merone e di Erba. E' un uomo deciso, e duro, che liquida con uno sguardo sprezzante chi gli parla di perdono. «Io non sono il padre di Raffaella. Io ho una storia diversa. E finché vivrò non avrò pace.
Li voglio ammazzare con le mie mani».
Azouz non è un santo, non lo è mai stato. E adesso è un uomo che ha appena saputo chi è stato a sterminargli la famiglia. «Guarda il padre di Raffaella: è andato cinque volte al Pronto soccorso, il crepacuore lo sta consumando. Io non farò quella fine». Sarà l'odio a mantenere vivo Azouz, a dargli forza. Perché anche lui deve combattere i suoi demoni. «Mi sembravano innocui, gente un po' matta, ma capace di parlare e basta. Non immaginavo che fossero degli animali feroci, altrimenti non avrei mai lasciato soli Raffaella e Youssef». Il buco nero che lo sta corrodendo è questo. Non aver compreso che davanti a sé aveva «animali feroci», come
li chiama adesso.
Olindo e Rosa Romano sembravano una coppia «strana» ma innocua, e non due vampiri della porta accanto, abbastanza lucidi da crearsi una via d'uscita quasi perfetta. Un'ora dopo la mattanza erano al tavolo del Mc Donald's sotto i Portici Plinio, in pieno centro, hamburger e patatine per scacciare il sapore del sangue. Azouz il tunisino è costretto ad ammetterlo, in quello che sembra un monologo recitato per se stesso. «Grondavano disprezzo nei nostri confronti. Ma non ho mai pensato che fossero capaci di fare quel che hanno fatto». E' in quel far di conto ad alta voce la verità interiore di Azouz, la rabbia, l'odio che si mischiano alla colpa. Non aver saputo capire, non aver potuto proteggere. «Ero padre, ero un marito, sono un niente». La voce è sempre uguale, gli occhi invece no. «Non riesco più a dormire, sono condannato a ricordare». Uno, due, tre, come le volte che gli è capitato di sentire quel «vi ammazziamo», e sembravano soltanto parole al vento.
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