
Originariamente Scritto da
Jadan
Sentivo oggi, casualmente, alla radio un imprenditore italiano che ha deciso di investire in Romania alcuni anni fa. Allora i salari erano minimi e la manodopera abbondante. Oggi i salari (confrontati coi nostri) sono bassi, ma non minimi. E la manodopera da abbondante s'è rarefatta perchè molti dei suoi operai hanno deciso di venire a lavorare nel più ricco occidente. Conclusione: d'accordo col governo rumeno, questo imprenditore ha deciso di importare (è il termine da lui usato) manodopera dal Bangladesh per le sue fabbriche in Romania. Effetti buffi della globalizzazione: dal Bangladesh partono per andare a sostituire i rumeni che sostituiscono gli italiani in fabbriche italiane.
Caro Pio e caro Beniamino, non credo che la cosa finirà come auspicate. Mi permettete una digressione? Parliamo di urbanistica. Nell'impero romano, qui a Roma, non c'era una divisione tra quartieri ricchi e quartieri poveri. Ma c'era un divisione verticale. Nel senso, cioè, che in un dato stabile al piano terra abitavano i ricchi. Man mano che si saliva (e gli appartamenti diventavano, tra l'altro, più insicuri a causa degli incendi) ci trovavi i poveri. Sino ad arrivare, all'ultimo piano, ai miserabili. Senz'acqua, con le scale da fare, in pericolo costante. Però erano non solo nello stesso quartiere, ma anche nello stesso palazzo dei ricchi (o, almeno, dei gran benestanti: i ricconi fuori scala si facevano le villone autonome).
Questa divisione la si trova ancora in certi palazzoni della Torino o Milano ottocentesca. I benestanti al piano nobile, i meno benestanti (persino i poveri) negli appartamenti superiori (sino agli abbaini) o, all'interno dei cortili, nelle case di ringhiera. C'era, insomma, in 100 metri quadri, uno spaccato sociale.
Poi, e qui ci vorrebbe un esperto per dire come e quando cominciò, la divisione non divenne verticale, ma orizzontale. Esistevano quartieri bene (generalmente i centrali o quelli delle migliori colline) e quartieri operai. Eravamo alla fine dell'ottocento, all'inizio del novecento. Una divisione orizzontale, non verticale. Non in 100 metri quadri, ma in zone diverse della città.
In questo schema noi abbiamo vissuto per decenni, non solo per i quartieri, ma per i Paesi e le nazioni. C'erano paesi bene (Europa, USA e qualcun'altro) e paesi poveri. Partivamo quindi dal presupposto che chiunque risiedesse in un paese bene (come l'Italia) come minimo non dovesse morire di fame. Forse, intorno agli anni '80, questo risultato fu raggiunto: allora, qui in Italia, nonostante le differenze, nessuno (o quasi) moriva di fame.
Ma poi è venuta la globalizzazione. E ha riportato a galla il modello verticale, o brasiliano: accanto alle favelas, nella stessa città, ci sono i nababbi.
Ecco perché temo che vi illudiate. Il sistema oggi va in un'altra direzione: vale a dire nel far convivere, in 100 metri quadri (cioè in Italia) sia il poverissimo che il ricchissimo. Non credo che ci sarà una qualche ribellione della classe lavoratrice italiana. Temo, invece, che dovremo sempre di più abituarci all'idea (eresia per quelli della mia generazione!) che qui, nel nostro Paese, in Europa occidentale, ci siano i veramente poveri. Quelli che fino a 20 anni fa erano lontani, in Asia o in Africa, ora stanno qua. Se non al piano di sopra, forse a 300 metri di distanza.
Non credo quindi, caro Beniamino, che ci saranno movimenti che freneranno le spinte al ribasso. Non ci sarà un movimento orizzontale che imponga, per tutti coloro che vivono in Italia, un trattamento minimo dignitoso. Credo invece, che conviveremo sempre di più con diseguaglianze che qui, a casa nostra, si inaspriranno. Temo. E Dio sa quanto vorrei sbagliarmi.
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